Non è oppressivo né di "classe" né statalista, ma liberale e globale: la società collettivista arriva dalla Rete.
Bill Gates, cofondatore di Microsoft, una volta ha deriso i difensori dell'open source definendoli con il peggior epiteto un capitalista possa immaginare. Questi personaggi, ha detto, «, una forza malevola dedicata a distruggere il sogno americano basato sull'incentivo del guadagno e sulla possibilità del monopolio». Gates ha torto: il popolo dell'open source è certo più liberale dei comunisti. Ma c'è del vero nella sua dichiarazione. L'urgenza frenetica e globale di connettere tutto e tutti, in ogni momento, sta silenziosamente dando vita a una nuova forma di socialismo.
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# 24/6/2010: La foresta delle menti # 13 generazioni # 13/8/2010: Una vita tra gli schermi # Dio? L'ha trovato Darwin # 29/12/2010: La tecnologia siamo noi # Dove va la tecnologia? # 26/1/2011: L'espansione dell'ignoranza # 4/2/2011: Il nuovo socialismo |
Non stiamo parlando del socialismo dei vostri nonni, che ha ben pochi punti in comune con questo nuovo socialismo: non è una lotta di classe; non è antiamericano, anzi, potrebbe essere considerato figlio dell'innovazione americana. Mentre il socialismo alla vecchia maniera era un braccio dello Stato, il socialismo digitale non ha "stato": opera nel regno della cultura e dell'economia, invece che in quello del governo - per adesso.
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Il tipo di comunismo che Gates sperava di associare ai creatori di Linux è il figlio di un'epoca di frontiere e muri, di comunicazione centralizzata e del culmine del processo industriale. I suoi limiti hanno dato vita a un tipo di collettivismo che ha rimpiazzato il vivace caos del mercato libero con scientifici piani quinquennali controllati da un onnipotente Politburo. Questo sistema politico ha fallito, per usare un eufemismo. Invece, a differenza del socialismo dalla bandiera rossa, quello nuovo opera attraverso Internet su un sistema di economia globale senza frontiere, in cui ogni parte è strettamente connessa alle altre. È concepito per valorizzare l'autonomia individuale e abbattere la centralizzazione. Anzi, è l'apoteosi della decentralizzazione. Invece di raccogliere il frutto di fattorie collettivizzate, lo cogliamo nei diversi mondi che fanno parte di questo universo. Al posto di fabbriche statali, abbiamo sui nostri desktop link a cooperative virtuali. Invece di condividere punte di trapano, picconi e pale, condividiamo applicazioni, script e interfacce software. Al posto di un anonimo Politburo, abbiamo la produzione anonima, la produzione tra pari e per pari (p2p). Invece del razionamento e dei sussidi statali, abbiamo un'abbondanza di beni liberamente acquistabili da tutti.
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La parola socialismo farà storcere il naso a molti. Porta con sé un tremendo bagaglio culturale, come anche termini ad essa collegati quali comune, comunitario, collettivo. Uso questa parola perché tecnicamente è la migliore per indicare un complesso di tecnologie che, per funzionare, fanno affidamento sulle interazioni sociali. L'azione collettiva è il risultato dell'interazione tra web e audience globale. Certo, si rischia di peccare di retorica raccogliendo così tanti concetti sotto un unico termine, per altro così carico di significati; ma non ci sono a disposizioni parole migliori, perciò non abbiamo altra scelta che redimere questa. Quando le masse che sono in possesso dei mezzi di produzione lavorano verso il raggiungimento di uno scopo comune e condividono i prodotti del proprio lavoro, quando lavorano senza paga e godono dei risultati senza pagare, non è irragionevole parlare di socialismo.
NO ALL'IDEOLOGIA
Alla fine degli anni '90

Nel suo libro Here Comes Everybody (2008), il teorico dei media Clay Shirky suggerisce uno schema per capirci qualcosa in queste nuove convenzioni sociali. Gruppi di persone iniziano semplicemente a condividere e poi progrediscono verso la cooperazione, la collaborazione, per arrivare, alla fine, al collettivismo. A ogni passo, la coordinazione aumenta. Un monitoraggio del panorama online rivela ampiamente l'evidenza di questo fenomeno.
1) CONDIVISIONE
Le masse di navigatori hanno un'incredibile tendenza alla condivisione. Il numero di foto personali postate su Facebook e MySpace è astronomico: dire che la stragrande maggioranza delle foto scattate con una macchina fotografica digitale finisce su Internet è dire poco. Possiamo aggiornare il nostro status, mostrare a tutti il luogo in cui ci troviamo in ogni momento, condividere i nostri pensieri non appena si formano in testa. Considerate i miliardi di video postati ogni mese su YouTube -





Condividere è la forma più blanda di socialismo, ma è la base per raggiungere livelli più alti di impegno comune.
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Quando gli individui lavorano insieme verso un obbiettivo su larga scala, il risultato va a beneficio dell'intero gruppo. Non solo gli utenti condividono più di


Migliaia di siti di aggregazione impiegano la stessa dinamica sociale ottenendo un triplice risultato. Primo, la tecnologia aiuta gli utenti direttamente, permettendo loro di taggare, mettere segnalibri, votare e archiviare per il proprio uso personale. Secondo, qualunque utente può beneficiare del lavoro di tutti gli altri: tag, segnalibri eccetera sono pubblici. E questo, in cambio, spesso dà luogo a un valore aggiunto che si realizza solamente in un gruppo che si comporta come un'unità. Per esempio, scatti della stessa scena fotografata da diversi punti di vista possono essere assemblati in una stupefacente immagine 3D - provate con

Il potenziale è straordinario. Siti come Digg e

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PAROLE
# Creative Commons: è un tipo di licenza che consente l'uso libero (purché non commerciale) del materiale online.
# Linux: il sistema operativo open source creato da Linus Torvald nel 1991. # mezzi di produzione: strumenti, materie prime, macchine, terra, metalli... # open source: "codice sorgente aperto", ossia software che gli autori mettono a disposizione, anche per modifiche. # pagina collaborativa: creata dalla collaborazione di più persone, come in WikiPedia. # Politburo: il principale or5gano esecutivo del Partito Comunista Sovietico. |
Una collaborazione organizzata produce risultati anche migliori di una semplice cooperazione casuale. Considerate semplicemente uno qualsiasi delle centinaia di progetti per software open source, come per esempio il server web

Per aggiungere carne al fuoco di queste bizzarrie economiche: siamo stati abituati a godere gratis del prodotto di questa collaborazione collettiva. Invece che soldi, la comunità di pari produttori guadagna credito, reputazione, divertimento, soddisfazione ed esperienza. Non solo il prodotto è gratis, ma può anche essere copiato gratis e usato come punto di partenza per nuovi prodotti. Sono state pensate nuove garanzie a protezione di questo meccanismo, come appunto le licenze Creative Common e

Ovviamente, non c'è nulla di intrinsecamente socialista nella collaborazione di per sé. Ma gli strumenti della collaborazione online supportano uno stile comunista di produzione che sfugge agli investitori capitalisti e mantiene la proprietà nelle mani dei lavoratori e, per esteso, in quelle dei consumatori.
4) COLLETTIVISMO
Mentre la collaborazione può produrre un'enciclopedia, nessuno è ritenuto responsabile se la comunità non riesce a raggiungere il consenso, e la mancanza di accordo non danneggia l'impresa nel suo complesso. Lo scopo di un collettivo, invece, è di progettare un sistema in cui i pari, autonomamente, si assumano la responsabilità dei processi critici e in cui le decisioni difficili, come stabilire le priorità, siano prese da tutti i partecipanti. Storicamente, centinaia di gruppi collettivisti su piccola scala hanno provato ad applicare questo sistema. I risultati non sono stati incoraggianti, anche senza considerare Jim Jones e la famiglia Manson.
Oligarchie. In realtà un esame profondo del nucleo di, per esempio, Wikipedia, Linux o Open Office mostra che questi sforzi sono più lontani dall'ideale collettivistico di quanto appaia dal di fuori. Mentre milioni di utenti contribuiscono a Wikipedia, un numero molto inferiore (circa 1.500) è responsabile della maggior parte delle modifiche. Lo stesso vale per i programmatori. L'armata dei collaboratori è organizzata e diretta da un piccolo gruppo. Come osservato da

Gerarchie. Non è necessariamente una brutta cosa. Alcuni tipi di collettivi traggono benefici dalla gerarchia, altri ne sono danneggiati. Le piattaforme come Internet e Facebook, o la democrazia - intesa a servire da substrato per la produzione e la distribuzione di beni - traggono beneficio dall'essere il meno gerarchici possibile, minimizzando le barriere e cercando di distribuire diritti e responsabilità nel modo più equo possibile. Quando entra in gioco un attore troppo potente, ne soffre l'intero tessuto. D'altra parte, le organizzazioni nate per creare prodotti spesso richiedono una leadership forte e una precisa specializzazione dei compiti: qualcuno che si concentri sui bisogni immediati e qualcuno che si occupi di progettare a lungo termine.
Alla maggior parte degli occidentali, me compreso, è stato insegnato che, al crescere del potere degli individui, diminuisce quello dello Stato, e viceversa. In realtà, la maggior parte delle strategie politiche sono basate sulla socializzazione di alcune risorse e sulla privatizzazione di altre. La maggior parte delle economie a libero mercato hanno un'educazione statale, mentre persino le comunità estremamente socializzate permettono una qualche forma di proprietà privata.
Individui. Piuttosto che guardare al socialismo tecnologico come un lato dello storico out-out tra l'individualismo del libero mercato e l'autorità centralizzata, dovremmo considerarlo come un processo culturale che eleva l'individuo e il gruppo allo stesso tempo. Lo scopo, non certo dichiarato, ma intuitivamente compreso, della tecnologia comunitaria è di massimizzare sia l'autonomia dell'individuo sia il potere del lavoro congiunto di tutti i lavoratori. Per questo, il socialismo digitale può essere visto come una terza via che rende irrilevanti i vecchi dibattiti tra sostenitori del socialismo e sostenitori del libero mercato.
Il concetto di terza via è introdotto da

Sistemi ibridi che tendono a mischiare meccanismi di mercato e non, non sono una novità. Per decenni, i ricercatori hanno studiato i metodi di produzione socializzati e decentralizzati delle cooperative industriali basche e dell'Italia del nord, in cui gli impiegati sono anche i proprietari, indipendenti dal controllo statale. Ma solo con l'arrivo della collaborazione low cost, immediata e ubiqua è stato possibile trasferire i principi di questo tipo di produzione in vari settori, dalla progettazione di software alla recensione di libri.
Contagio. Il sogno è quello di sviluppare questa terza via oltre gli esperimenti locali. Fino a dove?


Finora, gli sforzi maggiori sono concentrati sui progetti open source, e i più grandi tra di essi, come Apache, impiegano molte centinaia di collaboratori (http://httpd.apache.org/contributors/) - tanti quanti gli abitanti di un piccolo Paese di provincia.


Ovviamente il totale dei partecipanti al lavoro collettivo online è molto più grande. YouTube dichiara circa 350 milioni di visitatori al mese. Circa 10 milioni di utenti registrati hanno collaborato a Wikipedia, 160 mila dei quali molto attivamente. Più di 35 milioni di persone hanno postato e taggato oltre 3 miliardi di foto e video su Flickr. Yahoo ospita 7,8 milioni di gruppi su qualsiasi argomento riusciate a immaginare. Google ne ha 3,8 milioni.
Per quanto grandi, questi numeri non fanno una nazione. Magari non si avvicinano neanche alla soglia critica per consolidare una tradizione (ma se YouTube non è una tradizione, che cosa lo è?). Ma chiaramente la quantità di gente che vive a stretto contatto con la tecnologia sociale è significativa. Il numero di persone che lavorano gratis, usano gratis i prodotti di questo lavoro, appartengono a fabbriche collettive, lavorano a progetti che richiedono decisioni collettive o beneficiano in una qualche maniera del socialismo decentrato ammonta a centinaia di milioni. Sono state fatte rivoluzioni da eserciti molto più piccoli.
Uno si aspetterebbe pressioni politiche da un gruppo che, come questo, sta costruendo un'alternativa al capitalismo e al corporativismo. Ma programmatori e hacker che progettano strumenti condivisibili non si considerano dei rivoluzionari in senso politico. Nessun nuovo partito politico è stato fondato (con l'eccezione del Pirate Party svedese, che ha avuto origine su una piattaforma di file-sharing: alle elezioni nazionali del 2006 ha ottenuto lo 0,63% dei voti) [e più del 7% alle europee del 2009, N.d.T.]. In verità, i leader del nuovo socialismo sono estremamente pragmatici. Un'indagine condotta su 2.784 sviluppatori di open source ha cercato di capire le loro motivazioni: la più comune è


Ma il resto di noi potrebbe non restare immune, politicamente parlando, all'ondata crescente di condivisione, cooperazione, collaborazione e collettivismo. Per la prima volta da anni, quella parola che comincia per "s" è mormorata dalla tv e dai telegiornali nazionali, negli Usa, nominata come forza politica. Ovviamente, il trend verso la nazionalizzazione di grossi rami dell'industria, verso la statalizzazione della sanità e la creazione di agenzie di lavoro con i soldi delle tasse non è interamente dovuto al tecno-socialismo. Ma le ultime elezioni americane hanno dimostrato il potere di un movimento decentralizzato che ha alla base la collaborazione digitale. Più godiamo dei suoi benefici, più ci apriamo alla possibilità di istituzioni socialiste nello Stato. Il sistema coercitivo schiaccia-anime della Corea del Nord è finito; il futuro è un ibrido che attinge ispirazione sia da Wikipedia sia dal socialismo moderato svedese.
Ancora sulla condivisione. Quanto vicino a una società non capitalista, open source, fondata sulla produzione tra pari e per pari, ci può portare questo movimento? Ogni volta che questa domanda è stata posta, la risposta è stata: più vicino di quanto pensiamo. Considerate

Chi l'avrebbe detto che un povero contadino avrebbe potuto chiedere un prestito di 100 dollari a un perfetto estraneo residente dall'altra parte del globo, e restituirlo? Questo è quello che fa


Una cosa simile è successa con il libero mercato durante il secolo scorso. Ogni giorno, qualcuno si chiedeva: cosa c'è che il mercato non possa fare? Abbiamo preso una lunga lista di problemi che sembravano richiedere una pianificazione razionale o l'intervento paterno di un governo, e abbiamo scoperto che invece la logica del mercato funzionava nella maggior parte dei casi. Molta della prosperità guadagnata negli ultimi decenni è dovuta all'azione delle forze di mercato, libere da costrizioni, sui problemi sociali.
Ora stiamo provando lo stesso trucchetto con la tecnologia abbinata alla collaborazione sociale, applicando il socialismo digitale a una lista crescente di bisogni e desideri, e, occasionalmente, a problemi che il libero mercato non ha potuto risolvere, per vedere se funziona. Finora, i risultati sono stati sbalorditivi. Ogni volta condivisione, cooperazione, collaborazione, gratuità, raggiungibilità e trasparenza hanno dimostrato di essere più utili di quanto noi, capitalisti, ritenevamo possibile. Ogni volta che ci proviamo, scopriamo che il potere di questo nuovo socialismo è più grande di quanto immaginavamo.
Sottovalutiamo il potere dei nostri strumenti di dare nuova forma alla nostra mente. Davvero credevamo di poter costruire insieme nuovi mondi virtuali e abitarli, ogni giorno, senza che questi modificassero le nostre prospettive? La forza del socialismo online è in crescita. Le sue dinamiche si diffondono superando i limiti della rete, e forse persino delle elezioni.