di Peppe Croce
Applicazioni come la ricerca vocale di Siri o lo storage di iCloud e Dropbox potrebbero regalare ai concorrenti preziose informazioni aziendali riservate. E IBM corre ai ripari.
"La privacy vale doppio se lavori in una azienda del calibro di IBM"
Niente Siri al lavoro -
in un'intervista al MIT Technology Review
Informazioni sensibili - Il motivo della scelta della Horan è semplice, quasi banale: proteggere le informazioni sensibili dell'azienda. Quando usiamo Siri e pronunciamo alcune parole per ottenere una risposta, per esempio, Apple registra e mantiene sui suoi server il file audio corrispondente. Lo può fare, visto che è previsto dai termini del servizio che bisogna accettare per usarlo. Discorso molto simileanche per i file o le foto che depositiamo su iCloud, ma anche su Dropbox o gli altri servizi tra le nuvole che hanno tutti, più o meno, le stesse condizioni di utilizzo. Chi offre il contenitore può sbirciare nel contenuto. E se il contenuto è una informazione importante per l'azienda per cui lavori, è come se autorizzassi il nemico a fare spionaggio industriale sui tuoi dati.
Se ha paura IBM - Viene da chiedersi, a questo punto, quali conseguenze avrà la mossa di IBM - che nel frattempo ha invitato i suoi dipendenti ad usare il servizio proprietario MyMobileHub - sulle altre grandi aziende che usano servizi cloud. IBM, non c'è neanche bisogno di dirlo, se si preoccupa della privacy dei propri dipendenti lo fa a ragion veduta: a buon intenditor poche parole. Eppure c'è anche un altro aspetto da considerare: la produttività. Specialmente nelle aziende tecnologiche, infatti, la diffusione di smartphone, tablet e servizi cloud ha effettivamente incrementato la capacità dei dipendenti di scambiarsi in fretta e a costi praticamente nulli una gran mole di informazioni. Ha anche migliorato il lavoro collaborativo e azzerato le distanze tra le sedi sparse in mezzo mondo. Può veramente una grande azienda dell'IT fare a meno di tutto questo? (sp)