di Luca Busani
Ieri abbiamo confrontato il neonato Google Drive con i più diffusi servizi di cloud storage, ma non abbiamo considerato un parametro di grande importanza: le norme sulla privacy.
"Per Google, nei documenti ciò che è tuo rimarrà sempre di tua proprietà"
Facile pensare male - Dubitare è legittimo, quantomeno quando ci sono di mezzo Google e la privacy dei suoi utenti. L’azienda di Mountain View vive soprattutto degli introiti che ottiene usando dati più o meno sensibili a vantaggio dei suoi inserzionisti pubblicitari, attraverso il sistema di “ads”. Diventa, pertanto, essenziale approfondire e comprendere i termini di servizio proposti da Google Drive, perché in ballo potrebbero esserci informazioni davvero importanti, o comunque riservate.
A Cesare quel che è di Cesare - Non esiste, di fatto, una vera politica della privacy di Google Drive, perché l’azienda californiana ha deciso di pubblicarne una unificata, che coinvolga tutti i suoi servizi, e non solo questo. Tralasciando le solite parti in burocratese, tra i riferimenti più interessanti ce n’è uno esplicito alla proprietà intellettuale: per Google, la tua roba presente nei tuoi documenti rimarrà sempre in tuo possesso. La ripetizione di tutti questi aggettivi possessivi può sembrare piuttosto enfatica, ma non guasta affatto. Questo punto, inoltre, implica che gli utenti sono liberi di condividere i propri file con chi desiderano e dove vogliono, quindi anche su più dispositivi di persone diverse.
Ti pubblico, se lo vuoi - C’è, però, un secondo passaggio che sembra quasi contraddire quanto sopra: Google e le aziende collegate possono riprodurre e modificare tutto ciò che viene caricato nei loro server. In un altro punto, poi, si aggiunge perfino che questi contenuti possono essere distribuiti e mostrati pubblicamente, al fine di promuovere e migliorare i servizi stessi. Fortunatamente, quest’ultimo riferimento viene chiarito, dove si parla di un’autorizzazione che dev’essere richiesta espressamente in caso di utilizzo dei documenti diverso da quello previsto in origine.
Una scelta obbligata - Accantonando per un istante ogni pregiudizio e analizzando in modo più razionale le ragioni dietro a queste scelte, dobbiamo riconoscere che Google non poteva fare altrimenti. Senza tutte queste autorizzazioni esplicite, la sua piattaforma non avrebbe più alcun senso. Le traduzioni non sarebbero possibili, così come gli innovativi servizi basati sull’OCR e sul sistema denominato Google Image Search, né tantomeno funzionerebbe l’integrazione con Gmail e Google+, per non parlare delle fondamenta vere e proprie, cioè la cache e l’indicizzazione.
UPDATE - Google ci ha contatti, tramite un suo portavoce ufficiale, e riportiamo il testo integrale della sua dichiarazione in merito alle condizioni sulla privacy di Google Drive:
«Come dicono chiaramente i nostri termini di servizio 'quello che vi appartiene resta vostro'. Voi siete i proprietari dei vostri file e controllate con chi li condividete, in modo chiaro e semplice. I nostri Termini di servizio ci consentono di fornirvi i servizi che desiderate, cosi che se decidete di condividere i vostri documenti con qualcuno o di aprirli con un dispositivo diverso siete in grado di farlo.»
La conferma di Dropbox - Se hai letto il confronto che abbiamo fatto ieri, avrai certamente notato che l’alternativa che più ci ha colpito è, senza ombra di dubbio, Dropbox. Questo servizio, oltre ai pregi di cui ti abbiamo già parlato, come Google aderisce al DMCA (Digital Millennium Copyright Act), la legge di riferimento americana per la tutela dei diritti d’autore, e in più presenta dei termini di servizio estremamente chiari e trasparenti. Qui si dice apertamente, per esempio, che non verrà mai reclamata alcuna proprietà sui documenti di tua proprietà e che sarà sempre richiesta la tua autorizzazione per qualsiasi tipo di intervento sui file.
Il veterano SkyDrive - SkyDrive, invece, è un veterano del cloud, se consideriamo che è il diretto discendente di quel Windows Live Folders che ha visto la luce quasi cinque anni fa, eppure Microsoft ha risolto il problema in modo a dir poco bizzarro: cliccando sul link che dovrebbe condurci ai termini di servizio, ci ritroviamo a leggere la pagina omologa di MSN. Approfondendo la questione, si scopre che, proprio come a Mountain View, anche a Redmond stanno cercando di unificare tutto e le clausole sono più o meno le stesse. Le parole utilizzate da Microsoft sono, però, più schiette - emblematico l’incipit del documento: “queste sono le regole, se non sei d’accordo allora non usare questo servizio, grazie” - e si nota una maggior attenzione verso i diritti intellettuali: se violi il copyright altrui, infrangi il regolamento e i tuoi documenti possono essere cancellati in qualsiasi momento.
iCloud ti giudica - Chiudiamo con Apple che, con iCloud offre un servizio analogo, seppur differente sotto molti aspetti. Il gigante di Cupertino, come tutti gli altri, ha scelto di rispettare la legislazione statunitense e sottolinea sempre gli stessi aspetti, specificando che si arroga il diritto di modificare ogni dato per renderlo compatibile con diversi dispositivi.
A essere precisi, aggiunge anche una curiosa postilla: a sua discrezione, può eliminare qualsiasi parte di un documento sia sta giudicata “opinabile”. Ovviamente, i parametri di questa valutazione non sono del tutto chiari.
L’importanza della fama - Tirando le somme, è difficile decretare un vincitore per quanto concerne la tutela della privacy e, anche in questo caso, Google Drive risulta in linea con la concorrenza. A questo punto, diventa di vitale importanza la fama che ciascuno di questi servizi si meriterà nei prossimi mesi. Alla fine, la spunterà chi - a prescindere dai giga offerti - riuscirà a evitare intrusioni e fughe di dati, senza invadere la sfera privata di nessuno e, soprattutto, senza finire mai in tribunale. (sp)