Arrivare alla gravità artificiale, onnipresente nelle astronavi dei film di fantascienza, è un'idea fissa nei pensieri di chi pianifica i futuri viaggi interplanetari, perché risolverebbe molti problemi di salute di chi si troverà a viaggiare nello Spazio per mesi o anni (e anche perché sarebbe comoda). Nonostante gli sforzi e gli studi non si è mai arrivati a una soluzione, anche se ora un gruppo di scienziati dell’Università del Colorado (Boulder) si dice vicino ad avere una macchina di piccole dimensione, capace di simularne gli effetti senza fare danni.
I ricercatori, guidati dall’ingegnere aerospaziale Torin Clark, stanno progettando un sistema che può essere adattato a future stazioni spaziali e basi lunari. Gli astronauti potrebbero utilizzare la gravità artificiale per alcune ore al giorno, così come oggi fanno ginnastica per evitare problemi ai muscoli e all’organismo in generale.
Spiega Clark, che ha pubblicato il suo lavoro su Journal of Vestibular Research, che in microgravità o «in assenza di gravità gli astronauti sperimentano perdita ossea, perdita muscolare, decondizionamento cardiovascolare e molti altre ricadute negative. A tutt'oggi non c’è una vera soluzione, ma questo particolare sistema di gravità artificiale potrà aiutare molto».
Lettini in rotazione. Il lavoro di Clark viene sperimentato in un laboratorio del campus dell’Università, un ambiente piccolo quanto potrebbe esserlo l'abitacolo di una navetta in viaggio verso Marte.
L'elemento di base è un lettino montato sopra a un centrifuga. Messa in moto, la piattaforma ruota, prima lentamente, poi sempre più velocemente. Clark spiega che la velocità angolare (ossia la velocità con la quale ruota orizzontalmente il lettino) spinge i piedi di chi vi è steso sopra verso la base della piattaforma, quasi come se fosse sottoposto al suo stesso peso.
In passato un sistema simile aveva mostrato di creare un problema importante: se si gira la testa da una parte o dall’altra mentre si è in rotazione, si prova una sensazione nota come illusione incrociata, generata nell’orecchio interno, che dà la forte sensazione che si sta per cadere. Clark e i suoi colleghi hanno trovato una soluzione empirica al problema.
Un giro alla volta. Hanno sottoposto i volontari alle rotazioni della centrifuga con un approccio progressivo, iniziando da una sola rotazione al minuto e aumentando la frequenza solo quando il soggetto di turno smetteva di sperimentare la sensazione di caduta. Per tutti i volontari sono state necessarie non più di 10 sessioni per arrivare a 17 rotazioni al minuto senza accusare disturbi.
Si tratta ora di fare un passo in più: capire per quanto tempo al giorno gli astronauti dovrebbero usare il sistema per trarne beneficio.