Sono passati cinquant’anni da quando, per la prima volta, l’idea di un’automobile spinta a idrogeno – un mezzo capace di respirare aria per restituire acqua, azzerando l’inquinamento dovuto ai trasporti – ha iniziato a sembrare una possibilità più che un’utopia. Oggi, quell’idea è così concreta che chiunque in Giappone, ma anche in Danimarca, Germania, Gran Bretagna e presto in altri Paesi europei, può salirci sopra e guidarla.
Merito di Mirai, la berlina di Toyota il cui nome significa non a caso “futuro”: è frutto di milioni di chilometri nei centri prova, di 10 anni di test su strade pubbliche in tutte le condizioni climatiche, dalle temperature più rigide al caldo più torrido, di infiniti e rigorosi crash test e di lavoro congiunto con i governi e i ricercatori di tutto il mondo per renderne sicuro e facile il rifornimento. Nel serbatoio entra idrogeno (che può essere ricavato dall’acqua utilizzando fonti rinnovabili come l’energia solare ed eolica, oppure prodotto da materiali di scarto come i detriti fognari), dagli scarichi esce solo vapore acqueo. Per un’esperienza di guida ecologica, silenziosa, ma anche piacevolissima.
MOTORE. Abbina la tecnologia delle celle a combustibile alla tecnologia ibrida e assicura una potenza massima di 114 kW (155 cavalli). È molto più efficiente rispetto ai tradizionali motori a combustione interna e non produce CO2 né agenti inquinanti. Le celle a combustibile sono in grado di fornire elettricità sufficiente per alimentare un’abitazione per una settimana. L’autonomia è di quasi 500 km con un pieno di idrogeno e i tempi di rifornimento di circa tre minuti.
ITALIA. Due sono i freni attuali allo sbarco nel nostro Paese. Il primo è normativo: i serbatoi di Mirai consentono di stoccare il gas a 700 bar, ma in Italia il limite di erogazione è di 350 bar. La sicurezza dei serbatoi è garantita da una struttura a tre strati di plastica rinforzata con fibra di carbonio e da un sistema di sensori che chiude le valvole del serbatoio in caso di eventuali fuoriuscite. Il secondo ostacolo è che manca una rete capillare di distributori d’idrogeno perché l’auto possa circolare.