Come funziona l'auto di Google?
Poche settimane fa Google aveva annunciato un importante passo avanti nello sviluppo della sua auto che guida da sola: un sensibile miglioramento nella gestione della guida nel “traffico non organizzato”: come comportarsi quando auto, pedoni, bici o camion
non seguono le regole della strada?
O quando mancano i segnali, sono danneggiati, o non ci sono le strisce a bordo strada, il semaforo non funziona? Utilizzando il
Lidar, uno speciale radar montato sul tetto dell’auto, la Google Driverless Car analizza molte volte al secondo quello che la circonda. Il sistema di rilevamento di Google funziona ottimamente.
Ma ha tre problemi.
Primo,
il costo: il prezzo del Lidar è di circa 70.000 dollari, quanto un’auto di lusso.
Secondo,
la sua struttura: montare un Lidar è come piazzare una bicicletta sul tetto della macchina. Coi problemi logistici (e di sicurezza) che ne conseguono.
Terzo, la sua
fragilità: il Lidar deve essere regolato con estrema precisione per funzionare. Quindi i viaggi, le vibrazioni, le buche e la normale sporcizia che vi si accumula lo renderebbero poco pratico nella sua forma attuale.
I concorrenti di Google
Non solo Google, però, si sta attrezzando per creare auto che guidano da sole.
La Ford ha avviato un progetto in collaborazione con l’università del Michigan per costruirle: e le ha fatte circolare a Barcellona a fine febbraio 2014, nell'occasione del Mobile World Congress.
La
Ford Driverless Car usa sensori a infrarossi che rilevano gli ostacoli (e gli altri soggetti presenti in strada) nel raggio di 70 metri. Ma anche qui, il passo più critico è quello successivo: una volta “vista” la strada, servono computer e software complessi che decidano
cosa fare e come farlo.
L'auto italiana
In Italia, all'università di Padova, c’è chi è molto attivo nel campo: Alberto Broggi, docente e direttore del laboratorio VisLab, ha già accumulato chilometri e record, “guidando” senza pilota
da Milano a Shanghai nel 2010. E nel 2013 ha effettuato il primo test al mondo in ambiente urbano totalmente senza pilota, il progetto
Proud, che a marzo 2014 si è evoluto nel primo veicolo senza pilota con sensori radar e telecamere completamente integrate nella carrozzeria: un passo avanti non da poco, dato che in questo modo le apparecchiature sono protette dagli agenti esterni (sporcizia, urti…) e
non modificano la forma dell’auto.
Ma allora,
siamo davvero pronti alle prime auto che viaggiano da sole (e in sicurezza) sulle strade?
Non proprio, per almeno 3 motivi. Eccoli.
1 - I costi. Lidar, infrarossi, radar e sviluppo software: a livello di prototipi si stimano costi di implementazione di circa 100.000 euro a veicolo. E non ci sono ancora modelli di business applicati: quindi non si sa quanto potrà costare un’auto che viaggia da sola.
2 - La questione "assicurazione auto". Un’auto che guida da sola sarà, a detta dei ricercatori, più sicura di una guidata da un umano (analogamente a quanto accade per il pilota automatico degli aerei). Ma se un errore si verificasse… di chi sarebbe la colpa dell’incidente?
È un problema che, in passato, è stato sollevato anche per l’Abs, il sistema anti slittamento della frenata ora obbligatorio su tutti i veicoli. Controllato da un computer, che in pratica “toglie” il piede dal freno 36 volte al secondo per aumentare l’aderenza, deve poter essere disattivabile su alcune auto immatricolate negli Usa. In modo che, in caso di incidente, non si possa… dargli la colpa. Allo stesso modo, di chi sarebbe la responsabilità per un incidente provocato da una Google Car? Di Google? Del programmatore? Domande senza risposta (per ora).
3 - La fiducia nelle persone. Questo, a sentire gli addetti ai lavori, è uno dei passi più difficili. Ci sono state resistenze anche quando sono nati i primi treni senza conducente a Singapore o a Londra, nella Docking Light Railway. Oggi però saliamo su treni così senza pensarci (lo è anche la linea 5 della metro milanese). La strategia più attuabile, nel caso dell’auto, è quella del “backup umano”, come si vede nel film iRobot con Will Smith. Di norma, guida “lei”. Ma se le cose si fanno critiche… si può sempre prendere il comando.
Sarà davvero così?