In un tema annoso come la protezione della proprietà intellettuale, i videogiochi sono sempre stati uno dei fronti più caldi. Ci siamo abituati a vedere le grandi case produttrici adottare le linee più intransigenti, spesso colpendo i propri clienti migliori anziché i cracker (da non confendersi con gli hacker, leggi qui il motivo).
L'ultimo fardello che ha gravato specialmente su chi ama giocare sul proprio portatile, ma non ha sempre a disposizione una connessione a internet, è la politica DRM sempre-on-line, grazie a cui riuscire a utilizzare i giochi che abbiamo comprato somiglia sempre più a una corsa ad ostacoli, più che un divertimento per staccare un po'.
Per fortuna non tutti gli operatori del settore la pensano così. In una recente intervista a CVG, il creatore di Just Cause (in uscita il secondo capitolo) Christofer Sundberg della svedese Avalanche studios ha espresso le sue perplessità a riguardo, proponendo un approccio diverso, più inclusivo e conciliante nei confronti di chi, magari per gioco, magari per convinzione, si occupa di scardinare le protezioni dei videogiochi. L'idea è semplice: offrire loro la possibilità di lavorare per le aziende, facendo uso delle proprie considerevoli capacità non più nell'illegalità, ma alla luce del sole. Sundberg stesso confida che la metà delle persone con le quali lavora ogni giorno vengono da un ambiente hacker, da sempre molto vivace in Svezia.
Infine, un altro nodo centrale è la qualità dei videogames per PC, che devono essere concepiti appositamente per questa piattaforma e non come semplici porting da console. Ciò dovrebbe accompagnarsi a un'assistenza e a un supporto continuativo al gioco nel tempo, dichiara Sundberg, con continui aggiornamenti, un fruttuoso dialogo con i videogiocatori e maggiore attenzione alle maggiori possibilità di interazione fra gli utenti che il PC offre rispetto alla console. (ga)