Uno dei problemi più gravi che affligge protesi ed impianti artificiali è costituito dalla loro alimentazione: non è facile, ad esempio, far funzionare per anni una mano cibernetica con delle semplici batterie al litio ed ovviamente la loro sostituzione non è semplice quanto quella delle pile in un telecomando. Ancor più delicata è la situazione degli stimolatori cardiaci, perché un loro eventuale arresto può portare addirittura al decesso del paziente. Da anni, perciò, gli scienziati stanno cercando fonti energetiche “rinnovabili” all’interno del corpo umano, per poterle sfruttare in caso di bisogno: accantonati i depositi di grasso sottocutanei, che di fatto sono inutilizzabili a questo fine, si è passati alle bio-batterie, che s’appoggiano sulle reazioni biochimiche che coinvolgono le nostre cellule, ma l’energia così ottenuta non è comunque sufficiente.
Nonostante i primi parziali insuccessi, i ricercatori non si sono demoralizzati ed hanno continuato i loro studi in più direzioni; uno di questi progetti ha portato allo sviluppo di una tecnologia davvero promettente: la turbina sanguigna, che trasforma in elettricità il flusso ematico nelle arterie. Il dispositivo in questione è una sorta di centrale idroelettrica in miniatura e l’idea non poteva che nascere in Svizzera, nazione il cui fabbisogno è coperto per oltre la metà dall’energia ricavata proprio dai suoi corsi d’acqua. Benché si tratti solo di un prototipo e sia più piccolo di una puntina da disegno, il generatore inventato dal dottor Alois Pfenniger è in grado di erogare fino ad 800 microwatt, mentre un normale pacemaker ne richiede soltanto 10: grazie ad esso, sarà quindi possibile alimentare più dispositivi - dalle pompe per insulina agli impianti cocleari - senza temere alcun sovraccarico. Presenta, però, un’unica controindicazione, che sicuramente dovrà essere risolta quanto prima: la microturbina favorisce la formazione di coaguli all’interno delle arterie e questo aumenta sensibilmente il rischio d’infarto. Per ovviare al problema, verrà eseguita una serie di simulazioni a computer variando la forma della palettatura, in modo tale da identificarne una ottimale che riduca al massimo l’attrito ed i rallentamenti tra i globuli rossi. Considerato che il muscolo cardiaco arriva a produrre quasi 1,5 W, non è da escludere che, apportando le giuste correzioni, in futuro il sistema superi il milliwatt di potenza e riesca a supportare apparecchiature complesse, come i respiratori artificiali.
Ed una volta tanto, date ascolto a Susanna Tamaro e cercate di non reprimere mai le lacrime, perché se è vero che quelle che non escono dagli occhi incrostano il cuore “come il calcare incrosta e paralizza gli ingranaggi della lavatrice”, allora è meglio non rischiare d’inceppare questa splendida centrale elettrica.
(ga)