Ci imitano nell'aspetto, sono sempre più autonomi e ci stanno lentamente sostituendo nel mondo del lavoro. A questo punto, se parità dev'essere, lasciamo almeno che i robot paghino le tasse; o meglio, tassiamo le aziende che li impiegano. La proposta arriva, un po' a sorpresa, da un convinto sostenitore dello sviluppo tecnologico: niente meno che Bill Gates.
In una recente intervista a Quartz, il milionario americano ha detto che una tassa sui robot potrebbe servire a finanziare quei settori in cui l'empatia umana è ancora una caratteristica indispensabile, e nei quali si registra una continua carenza di risorse, come l'assistenza agli anziani o l'insegnamento.
Un utile freno. Il provvedimento servirebbe a rallentare l'automazione del lavoro, in un momento in cui questo fenomeno sta causando un deficit di impiego al quale non abbiamo ancora imparato a far fronte. Non sarebbe un modo di penalizzare l'industria, che dovrebbe pagare lo stesso quelle tasse se il lavoratore assunto fosse umano.
L'idea non è del tutto nuova: anche in sede europea si è discusso, qualche giorno fa, di una proposta di legge per tassare i possessori di robot e finanziare così corsi di formazione per coloro che, per colpa delle macchine, restano senza lavoro (il provvedimento è stato rigettato).
L'altra faccia della medaglia. Lo stesso Elon Musk si è recentemente speso sull'argomento, proponendo però una diversa soluzione: un reddito minimo garantito per tutti gli umani, proprio in vista di un futuro in cui il lavoro occupi una parte sempre minore nelle nostre vite, a causa dell'automazione. Per Musk, la crisi economica generata dall'avanzata delle macchine renderà socialmente accettabile l'idea che tutti ricevano un sussidio governativo.
Anche Gates ha evocato il ruolo del governo in questo processo: non si può lasciare che l'intera responsabilità dell'automazione ricada sul mondo industriale, senza che lo stato vigili sulle sue conseguenze.