Questa volta gli hacker l’hanno fatta davvero grossa: con il maxi furto di dati sensibili dal portale PlayStation Network, milioni di utenti si sono improvvisamente scoperti impotenti davanti a questo genere di attacchi ed ora sono terrorizzati dalle eventuali conseguenze che questa intrusione potrebbe avere nelle loro vite. Per Sony, poi, dopo il danno rischia d’arrivare la beffa, perché in giro per il mondo si stanno preparando numerose ed insidiosissime class action, che potrebbero trascinarla in giro per i tribunali per anni ed anni. Bisogna ammettere che la casa giapponese non vuole nascondersi dietro un dito ed ha già confermato che 77 milioni di carte di credito sono state compromesse; ma chi sono i veri responsabili dell’attacco?
Secondo Sony, non ci sarebbero dubbi: dietro a tutto questo ci sarebbe lo zampino del collettivo Anonymous e, a conferma di questa ipotesi, sarebbero stati rinvenuti alcuni indizi, primo tra tutti un file con il nome del gruppo che sarebbe comparso misteriosamente nell’hard disk di uno dei server crackati e che al suo interno conterrebbe un messaggio lapidario, “We are Legion”, che è parte dello slogan del forum incriminato. In effetti, la prova sembrerebbe proprio schiacciante, soprattutto se si considerano le dichiarazioni pubblicate da Anonymous negli scorsi giorni, dove il pirata GeoHot viene descritto come una vittima innocente dei soprusi di una multinazionale che ha deciso di cambiare unilateralmente le condizioni d’uso dei suoi prodotti e, di fatto, ha trasformato la tradizionale esperienza videoludica in una sorta di comodato d’uso per l’intrattenimento domestico. Un punto di vista apertamente ostile e certamente discutibile, che però ben si accorderebbe con quanto è accaduto.
Sony, dal canto suo, ha cercato di giustificarsi dinanzi al Congresso degli Stati Uniti, parlando di un attacco DoS che avrebbe tenuti impegnati i suoi esperti per vari giorni e che si sarebbe rivelato una cortina fumogena virtuale per coprire il reato che stava avvenendo a loro insaputa, sfruttando un noto baco di sistema a cui non era ancora stato posto rimedio. Per evitare conseguenze più gravi, attualmente sarebbe al vaglio un risarcimento simbolico per tutti gli utenti, presumibilmente sotto forma di punti PSN o download gratuiti: una soluzione low cost, che da un lato soddisferebbe molti e dall’altro solleverebbe - almeno in parte - i giapponesi dall’imbarazzo e dalla cattiva fama che ormai li circonda.
Francamente non sappiamo se questo “contentino” possa sortire l’effetto desiderato e riuscire nell’intento di placare gli animi; forse sarebbe stato meglio se Sony si fosse limitata a seguire gli esempi di Apple e Nintendo, combattendo gli hacker attraverso patch software, senza interferire mai con la loro vita reale: d’altra parte, si tratta pur sempre di pirati, seppure informatici, e quindi di persone estremamente pericolose.
(ga)