Prendere un aereo è di gran lunga il modo più sicuro di viaggiare. Stando a una recente ricerca dell'Università di Harvard, c'è una possibilità su 11 milioni di perdere la vita durante un volo, una su 185.000 che ciò avvenga in automobile, una su 10.000 in bicicletta e addirittura una su 5.000 in moto. Eppure, mentre sono rare le persone che hanno paura di spostarsi su due o quattro ruote, non si contano quelle che preferirebbero compiere il tragitto a piedi (tra l'altro con un tasso di mortalità simile a quello della bici) o a nuoto, piuttosto che trovarsi sospesi a diecimila metri dal suolo senza vie di fuga. È tutta una questione di percezione. L'esempio più lampante? A quanti è capitato di spaventarsi per una turbolenza? «Eppure, in tutta la storia dell'aviazione civile, non esistono casi noti di aerei di linea precipitati per questo motivo», ci spiega Marco Anghileri, docente di ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano. «Anche perché la turbolenza, così come l'impatto con volatili o con un fulmine, è una condizione prevista e, in quanto tale, fa parte del processo di progettazione di un aereo, che è appunto dimensionato per resistere a questo tipo di carico».
IL VUOTO D'ARIA. Una turbolenza, leggera, moderata o severa che sia, è generata dal rimescolamento dell'aria dovuto allo scontrarsi di masse calde e fredde (v. immagine sotto); talvolta prende il nome di "vuoto d'aria", per la sensazione di cadere quando si è spinti verso il basso, ma questo è errato. L'aria è infatti sempre ben presente a sostenere l'aereo, generando sulle ali la cosiddetta "portanza", ossia la forza dal basso verso l'alto che si contrappone alla gravità e che, assieme alla spinta dei motori, permette all'aereo di volare. Stando ai dati della Federal Aviation Administration statunitense, solo l'8% degli incidenti avviene in quota e, quando ciò si verifica, nel 70% dei casi la responsabilità è attribuibile al fattore umano. Le turbolenze, dunque, fanno paura ma non sono pericolose per l'aereo, che ha ali in grado di flettersi di metri, in basso e in alto, senza rompersi.
I passeggeri, invece, devono prestare attenzione al fatto che – nei casi più estremi – potrebbero cadere i bagagli dalle cappelliere, sfrecciare pesanti carrelli nel corridoio e, se non si indossano le cinture, si potrebbe persino essere sbalzati sul soffitto. «Più che le turbolenze, sono pericolosi i cosiddetti "downburst", ossia gli incontri con correnti discendenti fortissime che, se avvengono in fase di atterraggio, spingono violentemente il mezzo verso terra (come accaduto al volo Wind Jet 243 del 24 settembre 2010 in fase di atterraggio a Palermo, ndr)», prosegue Anghileri.
«Anche in questo caso, ci sono però radar meteorologici che permettono alla torre di controllo e al pilota di valutare i rischi in tempo reale e, se necessario, di rimandare l'atterraggio».
EVITARE I TEMPORALI. Il rischio maggiore per un aereo in quota è quello di imbattersi in forti perturbazioni condite da grandine e fulmini, ossia ciò che è avvenuto al volo LA1325 del 26 ottobre 2022, diretto da Santiago del Cile ad Asunción, che ha attraversato un cumulonembo in tempesta. La norma è quindi, prima di tutto, di evitare di trovarsi in situazioni del genere, come ci spiega Pietro Rinaldi, pilota esperto di sicurezza aeroportuale: «Gli aerei sono dotati di radar meteo con portata anche di 300 km e i piloti sono in grado, in accordo con i controllori di volo, di prevedere le perturbazioni e di evitarle, deviando la rotta, cambiando la quota di volo o atterrando in scali d'emergenza. In casi come quello dell'aereo paraguaiano, la responsabilità è al 90% del pilota». Nel caso in cui ci si ritrovi in una situazione del genere, chi manovra può fare ben poco, ma il supporto arriva dalla tecnologia. «Partiamo dal presupposto che un aereo si trova meglio in aria che a terra», prosegue l'esperto. «D'altra parte è progettato per questo, e per conformazione tende sempre a tornare nella posizione di equilibrio. Per tornarci, ovviamente, balla, ma nella maggior parte dei casi si lascia inserito l'autopilota, che è in grado di compensare automaticamente queste variazioni».
A PROVA DI FULMINI. Lo stress maggiore in caso di perturbazioni in quota può arrivare da grandine e fulmini, ma anche se accade, l'aereo è progettato per resistere. «Un fulmine può causare danni notevoli se l'aeroplano è a terra – ci spiega Carlo Riboldi, esperto di meccanica del volo atmosferico al Politecnico di Milano – ma se è in volo, esso non si scarica completamente come fa, per esempio, nel caso in cui colpisca un albero, e può dunque attraversare la struttura del mezzo infliggendo danni minori, come bruciature o, in alcuni casi, problemi ai circuiti elettrici». Un elemento da tenere in considerazione è che, con i cambiamenti climatici in atto, turbolenze e temporali saranno sempre più frequenti. Uno studio pubblicato su Nature Climate Change, infatti, ha calcolato che nel solo corridoio di volo dell'Atlantico settentrionale, attraversato ogni giorno da più di 600 aerei, l'aumento delle temperature porterà nei prossimi decenni a un incremento delle perturbazioni compreso tra il 40% e il 170%.
«Al di là di questo, sia oggi sia tra 50 anni, se un volo avrà problemi di origine meteorologica, sarà nella maggior parte dei casi a causa del fattore umano, perché è sempre meglio – quando possibile – evitare le intemperie», aggiunge Riboldi. «Di contro, può succedere che un aeroplano venga danneggiato, poiché affrontare una grandinata durante un temporale è come essere sotto al fuoco di una mitragliatrice, ma i mezzi sono comunque progettati e testati per resistere a stress del genere».
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SISTEMI CONTRO I VOLATILI. Prima di ottenere l'idoneità al volo, un aereo deve superare probanti test d'impatto, nel corso dei quali è possibile simulare, per mezzo di potentissimi cannoni ad aria compressa di diverso calibro, lo scontro delle varie componenti con i chicchi di grandine o con "oggetti" più grandi. «Come avviene con un volatile», sottolinea Marco Anghileri, che nei laboratori del Politecnico di Milano conduce personalmente esperimenti di birdstrike. «Per testare le parti più esposte, ossia i vetri, le strutture portanti del muso e soprattutto i motori, si usano gelatine balistiche (pesanti da 1 a 2 kg) che vengono sparate alla velocità del suono, quasi 1.200 km/h, sviluppando carichi di decine di tonnellate su un'area estremamente piccola, e che possono provocare estesi danni».
Negli ultimi 30 anni ci sono stati più di duecentomila impatti registrati con specie animali solo negli Stati Uniti, che hanno causato 292 vittime, pari a circa lo 0,1% del totale dei passeggeri coinvolti. «Va detto, però, che erano quasi tutti voli militari o di elicotteri a bassa quota e che non vi sono state perdite civili. Nel complesso, la probabilità di scontro con un uccello è dello 0,06%, il rischio di morire dello 0,00009%». Gli aerei di linea, per di più, possono imbattersi in stormi solo nelle fasi di atterraggio o decollo, e anche in occasione di un impatto (che in genere avviene a 400-500 km/h e con uccelli pesanti meno di mezzo chilogrammo, ben al di sotto dei parametri di certificazione) è raro che questo possa portare alla perdita del velivolo. Il caso più noto è sicuramente quello del volo US Airways 1549, che il 15 gennaio 2009 fu costretto ad ammarare nel fiume Hudson, a New York, magistralmente guidato dal pilota Chesley Sullenberger (interpretato da Tom Hanks nel film Sully del 2016). «Quello è l'episodio più grave che conosciamo ma, anche avendo perso entrambi i motori, l'aereo è planato senza danni.
Come contromisura, l'aviazione americana ha provveduto a dotare gli aeroporti di fastidiosi altoparlanti o di falchi che tengano gli stormi lontani dalle piste». Come dire, a meno di un imponderabile difetto meccanico o di non essere abbattuti da un missile, potete viaggiare tranquilli.