Quando il videogioco cambiò il mondo
Correva l’anno 1962 quando Steve Russell, presso il Massachusetts Institute of Technology, creò quello che poteva essere definito il primo videogioco della storia: Spacewar!
Già negli anni 50 vi erano state delle applicazioni che misero le basi per questo nuovo intrattenimento, una su tutte Tennis for Two (1958) del fisico Willy Higinbotham, un programma di tennis virtuale installato su un oscilloscopio.
In 45 anni i progressi sono stati tanti e, ancora oggi, i videogiochi sono in continua evoluzione. Di seguito potrete vedere alcuni tra quelli che hanno saputo fare la differenza, permettendo all’intero mondo videoludico di progredire ulteriormente nel proprio sviluppo.
Non fu il primo videogioco, e nemmeno il primo del suo genere, ma Pong fu il primo a essere commercializzato, diventando il punto di partenza dell’industria videoludica. Il gioco,trasposizione digitale del Ping Pong da cui derivava anche il nome, era senza audio e con una grafica essenziale in bianco e nero (sullo schermo comparivano solo due barrette, un quadratino ed il punteggio).
Pong fu tra i primi coin-op (le macchine a gettoni) della storia ed ebbe un notevole successo: la giocabilità era semplice e nel gioco era anche possibile dare degli effetti alla pallina, colpendola all’ultimo secondo, che davano maggiori possibilità di segnare punto. Quando Nolan Bushnell, il suo creatore (e fondatore della Atari), installò il primo coin-op di Pong in un locale, fu richiamato la sera stessa dal gestore perché la macchina non accettava più monete. Non era guasta ma completamente piena di centesimi!
A sei anni di distanza da Pong, la casa giapponese Taito fece uscire su coin-op Space Invaders. Nonostante il fondo dello schermo fosse sempre nero, la grafica poteva ora vantare qualche colore base come il rosso o il verde. Lo scopo del gioco era difendere la terra abbattendo navicelle aliene che avanzavano per conquistare il pianeta. Erano anche presenti bonus che permettevano di aumentare il proprio punteggio (score) velocemente. Per quale motivo? La rivoluzione di Space Invaders stava nella capacità di memorizzare i migliori punteggi (hi-score) e creare così una classifica. Una sfida in più per i giocatori i quali, oltre a terminare il gioco, dovevano ottenere il miglior hi-score per comparire tra i più bravi. Il successo di Space Invaders fu così grande che uscirono una serie di giochi-clone che lo resero uno dei videogiochi più imitati di sempre.
Mentre Space Invaders sbarcava sulle console casalinghe, un altro eroe si apprestava a conquistare il cuore degli appassionati: Pac-man, il videogioco più copiato della storia, sviluppato dalla giapponese Namco e diventato poi fenomeno di costume con tanto di merchandise, pupazzi e gadget. Sul gioco gira anche una leggenda metropolitana: pac-man sarebbe l’ispiratore dei rave party. Gira la voce che “Kristian Wilson, dirigente della Nintendo, avrebbe dichiarato nel 1989: «I video giochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se pac-man avesse influenzato la nostra generazione, staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva». Di fatto pochi anni dopo nacquero le feste rave, la musica techno e l'ecstasy”.
In realtà si tratta di un battuta di un comico inglese, Marcus Brigstocke.
Gli anni ’80 erano agli albori quando Shigeru Miyamoto (oggi considerato uno dei maggiori ideatori di videogiochi) diede vita a Donkey Kong, uno dei primi platform. Il giocatore doveva calarsi nei panni di un omino, Jumpman, per salvare la propria fidanzata Pauline, rapita dal gorilla Donkey Kong. Lo scopo del gioco era evitare tutti i barili scagliati dallo scimmione, raggiungere la cima dello schermo e liberare Pauline. La grafica era molto semplice eppure Miyamoto seppe usare alcuni accorgimenti per caratterizzare il personaggio di Jumpman: il contrasto tra la salopette rossa e la maglia blu permetteva di evidenziare il movimento degli arti; i baffi e le basette risaltavano il naso, le orecchie e il mento, mentre il cappello eliminava il problema della capigliatura, nascondendola. Ma l’inventiva doveva averla anche il giocatore: i riferimenti all’ambientazione, un grattacielo, erano soltanto delle scale e delle travi d’acciaio.
A metà degli anni ’80 il programmatore russo Aleksej Pazitnov, mentre lavorava all’Accademia di Scienze Sovietica, sviluppò il primo rompicapo (in inglese puzzle game) elettronico della storia. Il suo nome era Tetris e, grazie ai numerosi supporti sui quali venne distribuito, fu tra i videogiochi più venduti di tutti i tempi. Tetris era un gioco di logica il cui scopo era quello di incastrare tra loro diverse figure geometriche (chiamate tetramini) che cadevano dall’alto, nella giusta combinazione e in modo da mantenere il quadro più vuoto possibile. Il completamento di un’intera riga orizzontale la annullava dallo schermo permettendo così la continuazione del gioco. Il termine Tetris derivava da tetra (quattro) in quanto i tetramini erano la rappresentazione di tutte le combinazioni possibili di quattro quadrati uniti tra loro da almeno un lato.
Il personaggio simbolo della giapponese Nintendo, abbandonato il nome di Jumpman nel 1982 per un più consono nome (e cognome), Mario, e diventato idraulico, approda sulle console. Super Mario Bros fu uno dei primi giochi platform a scorrimento orizzontale. L’innovazione era infatti quella di avere un livello di gioco che non fosse costituito da una sola schermata (come succedeva per esempio in Pac-man), ma da una serie di quadri concatenati tra loro, attraverso i quali il personaggio si muoveva per raggiungerne il traguardo o il boss (nemico) di fine livello. La grafica si estendeva ora a pieno schermo: il cielo azzurro sostituiva il fondo nero ed erano presenti anche elementi di ambientazione come nuvole, cespugli o alberi. Mario era libero di saltare per rompere i mattoni con la propria testa, sconfiggere i nemici o entrare nei tubi, punti di accesso a quadri bonus. La rivoluzione era appena iniziata.
Un anno dopo dal successo mondiale di Super Mario Bros, la Nintendo fece uscire quella che diventerà una pietra miliare nella storia dei videogiochi: The Legend of Zelda. Il creatore, neanche a dirlo, era quello stesso Miyamoto che diede i natali a Super Mario. The Legend of Zelda seguiva le avventure del cavaliere Link nell’immaginario mondo di Hyrule il cui scopo era quello di recuperare gli otto pezzi della Triforza per sconfiggere il malvagio Ganon e salvare la principessa Zelda. Le principali novità furono la possibilità di possedere diverse armi o oggetti, alcuni da utilizzare anche in combinazione tra loro; era possibile esplorare interamente il mondo di Hyrule, estremamente vasto: unite tra loro, le varie schermate creavano l’intero regno, fatto anche di dungeon (labirinti) e quadri nascosti da scoprire. Zelda aprì le porte non solo ai videogiochi del suo genere (quelli di avventura) ma all’intero panorama videoludico.
In quello stesso anno uscì per la casa giapponese Sega anche uno dei più apprezzati videogiochi di guida arcade di quel decennio. Outrun era un semplice gioco di corsa automobilistica in cui il protagonista, a bordo di una Ferrari e con accanto la fidanzata, doveva tagliare il traguardo. L’importante innovazione però in questo caso avveniva sul piano meccanico del coin-op sul quale il gioco girava. Il cabinato aveva infatti installato un volante (per simulare meglio la guida) completo di Force-Feedback. Questa tecnologia permetteva allo sterzo di vibrare ogni qualvolta la macchina urtasse un ostacolo e lo rendeva più difficile da manovrare a causa dell’effetto di resistenza fisica reale esercitato su di esso.
Un nuovo passo avanti fu la pubblicazione del videogioco di ruolo (in inglese RPG – Role Playing Game) Dungeon Master. Riproponendo su supporto elettronico la meccanica dei giochi di ruolo da tavolo, Dungeon Master varcò il non plus ultra videoludico con tre importanti caratteristiche di gameplay (la giocabilità): era il primo gioco in tempo reale, e non a turni, della storia; fu uno dei primi videogiochi ad utilizzare una visuale in soggettiva in ambienti tridimensionali, permettendo al giocatore di avere una prospettiva uguale a quella del personaggio virtuale; ma la novità più importante era senza dubbio l’interfaccia grafica che permetteva di interagire con oggetti e ambientazioni con il mouse, cliccandoci sopra, e superando l’oramai obsoleto sistema di inserimento di comandi tramite tastiera. La versione per Amiga conquistò un altro primato: l’uso dell’audio stereo per gli effetti sonori.
Due anni dopo uscì per Apple II (ma in seguito anche per le altre piattaforme) Prince of Persia, un videogioco d’avventura che migliorò notevolmente le animazioni del mondo virtuale. Il suo creatore Jordan Mechner, infatti, per realizzarle, utilizzò un procedimento sino ad allora impiegato esclusivamente in campo cinematografico, il rotoscoping, una tecnica in cui, sopra una pellicola precedentemente girata con persone reali, si dipingevano le animazioni. Risultato? Un disegno animato dai movimenti estremamente fluidi e concreti. La tecnica fu l’antenato del recente motion capture nel quale vengono applicati sull’intero corpo di una persona dei sensori che ne catturano i movimenti. I sensori inviano tutte le informazioni ad appositi software che elaborano i movimenti in digitale e che in seguito vengono attribuiti al personaggio virtuale.
Gli anni ’80 si concludono con l’uscita di Sim City, il primo gioco di genere gestionale (o manageriale): nessun nemico da sconfiggere o niente da salvare, lo scopo del gioco è vestire i panni di un sindaco e gestire un’intera città, partendo da zero, facendola funzionare in modo da mantenere un buon livello di vita e, cosa fondamentale, fare felici i propri cittadini.
Sim City non aveva una fine vera e propria, anche se, con una cattiva gestione della città, risollevarne le sorti poteva risultare così faticoso da costringere il giocatore ad iniziare una nuova partita. A rendere più difficile il tutto era anche il computer: sulla città si potevano abbattere, casualmente, catastrofi naturali come incendi, terremoti o tornado ai quali il sindaco doveva essere pronto a far fronte se non voleva vedere i suoi cittadini, delusi, migrare nel paese accanto.
Le avventure grafiche (o punta e clicca), sono un genere che proliferò con il nuovo decennio. La saga di Monkey Island, sviluppata dalla californiana LucasArts, ne rimane il maggior esponente. Nel primo capitolo, The Secret of Monkey Island, il protagonista Guybrush Threepwood doveva diventare un pirata. Per giocare si sfruttava l’interfaccia grafica SCUMM che permetteva di interagire con gli oggetti presenti attraverso una serie di azioni come Apri, Chiudi, Parla, Esamina ecc. Cliccando sull’azione e poi sull’oggetto che si intendeva utilizzare, il personaggio eseguiva il movimento, nel caso fosse corretto, o non procedeva in caso di errore. Le avventure grafiche della LucasArts erano particolari anche per il fatto che non era possibile “morire” né rimanere bloccati senza via di uscita.
È l’inizio degli anni ’90 quando nelle sale giochi arriva Street Fighter II, uno dei picchiaduro in 2D più ricordati dagli appassionati. Il videogioco era il seguito del primo Street Fighter (1987) in cui i protagonisti Ryu e Ken dovevano affrontare una serie di lottatori in giro per il mondo. In questo nuovo capitolo, migliorato notevolmente nella grafica, il giocatore poteva scegliere tra una rosa di otto personaggi. Per la prima volta fu introdotto il concetto di combo, una serie di mosse combinate che, eseguite nel momento giusto, non permettevano all’avversario di difendersi, privandolo di una buona fetta di energia. Nel gioco erano inoltre previsti finali diversi a seconda del personaggio con il quale si giocava; un piccolo accorgimento che ne aumentava la longevità, con grande gioia dei giocatori. Fu anche uno dei primi videogiochi ad avere un adattamento cinematografico che, ironia della sorte, fu un clamoroso fiasco.
Nel 1992 con Wolfenstein 3D e nel 1993 con Doom, la software house (casa di produzione di videogiochi) ID Software mise le basi per il genere degli sparatutto in prima persona (FPS - First Person Shooter). Solitamente questo genere di giochi hanno come ambientazione conflitti bellici (anche storici) o missioni fantascientifiche. Wolfenstein 3D, ma soprattutto Doom, si distinsero dal resto dei videogiochi per l’alto grado di violenza e di scene splatter al loro interno, una festa per gli occhi dei giocatori. Lo stesso anno dell’uscita di Doom sul mercato, nasceva Internet così come la conosciamo oggi. La ID software non perse il treno e Doom divenne anche uno dei primi multiplayer online (videogiochi in cui più persone possono incontrarsi/scontrarsi contemporaneamente collegandosi a Internet). Eliminando il punteggio e le vite multiple, i programmatori di Doom ne aumentarono il livello di realismo.
Dopo quasi un decennio dal popolare Outrun, arriva Need for Speed, il gioco di guida rivoluziona i videogiochi del genere. Per la prima volta infatti i programmatori cercarono di avvicinarsi alla realtà studiando la fisica dei movimenti dell’auto e cercando di esserne fedeli il più possibile anche dal punto di vista sonoro e grafico. Ulteriore novità, gli inseguimenti della polizia, così apprezzati all’interno della serie (che conta ben 7 capitoli) che i seguiti del gioco incentrati su di essi, denominati Hot Pursuit (inseguimento rovente), furono i più venduti della saga.
E’ la metà degli anni novanta quando Lara Croft fa la sua prima apparizione. La giovane e procace archeologa, protagonista di Tomb Raider, portò una ventata d’aria fresca al genere dell’avventura in 3D. Di fatto, combinando elementi tipici dei platform con quello degli sparatutto, la Eidos, sua casa di produzione, aveva creato un videogioco avvincente, anche grazie all’integrazione di retroscena della vita di Lara. Non è un caso che il tutorial (la parte dedicata all’allenamento del giocatore, per prendere confidenza con i comandi), si svolga nell’immensa villa della Croft. A differenza degli FPS, Tomb Raider poneva la telecamera in terza persona, alle spalle della protagonista, permettendo così al giocatore di vederne l’intera figura ed osservarne le mosse. Lara fu anche la prima protagonista femminile in un videogioco ed è ancora oggi considerata come l’eroina virtuale più sexy nel mondo videoludico. All’epoca alcuni programmatori non persero tempo a diffondere su internet una patch (modifica o aggiornamento) che permetteva di giocare con la protagonista completamente nuda.
L’avvento di Internet e l’incremento dei PC posseduti da privati spinsero gli sviluppatori a creare un genere ad hoc per gli appassionati. Si trattava del MMORPG (Massive Multiplayer Online Role Playing Game), un gioco di ruolo al quale potevano giocare contemporaneamente migliaia di persone attraverso l’uso di Internet. Ultima Online fu uno dei primi MMORPG, il cui successo fu evidente dal numero di iscrizioni (per giocare, ancora oggi, bisogna pagare una quota mensile alla software house) che arrivò a 100.000 in soli sei mesi di uscita. I MMORPG furono anche uno dei catalizzatori delle comunità virtuali, nelle quali i giocatori si riuniscono in diverse gilde (gruppi di più appassionati) per affrontare insieme le missioni. Il vero scopo non è l’abbattimento di un boss ma l’acquisizione di punti esperienza, che si guadagnano con il completamento degli obiettivi, e che permettono di accrescere il livello del proprio personaggio. Questi giochi sono potenzialmente infiniti grazie al continuo sviluppo, da parte dei programmatori, dei mondi virtuali nei quali si svolgono.
Il millennio si chiude con l’uscita di The Sims, creato dallo stesso autore di Sim City, e primo gioco di simulazione di vita di sempre. L’obiettivo è di prendere le redini della vita di un Sim (SIMulatore) per renderlo felice. Per riuscire nell’intento è necessario osservare attentamente le otto barre che indicano i bisogni del proprio Sim (la fame, l’igiene, l’energia, le relazioni, i comfort, la vescica, il divertimento e l’ambiente) cercando di soddisfare al meglio queste necessità, come succede nella vita reale. L’esistenza del Sim inizia ad andare a rotoli quando le barre, da verdi, diventano rosse. Se poi si trascura completamente il proprio Sim per molto tempo, esso potrebbe anche morire. Come nella realtà, i bisogni sono correlati tra loro: per esempio una scarsa igiene creerà al Sim difficoltà nelle relazioni, che causeranno depressione e di conseguenza abbasseranno il suo grado di felicità. Il successo planetario di The Sims ha reso possibile la pubblicazione di diverse espansioni che ricreano situazioni diverse, come le feste o le vacanze.
In 45 anni di vita sono stati sviluppati così tanti videogiochi (i generi in cui si dividono oggi sono sulla dozzina) che si potrebbe fare una cronistoria dell’evoluzione per ogni categoria. Dai simulatori ai giochi sportivi, dai picchiaduro agli sparatutto in prima persona, l’industria videoludica è oggi una delle prime in fatturato nel settore dell’intrattenimento, superando addirittura quella cinematografica. In giro per il mondo sono infatti organizzate diverse fiere dedicate come il Tokyo Game Show e, l’E3 (Electronic Entertainment Expo) di Los Angeles, fino all’anno scorso la fiera annuale più grande del mondo, e che da quest’anno vedrà un notevole ridimensionamento, più a favore degli addetti ai lavori. Non solo fiere, ma anche tornei tra appassionati dei generi con in palio anche ingenti somme di denaro per i vincitori. Insomma, quello che si è evoluto non è soltanto il videogioco, ma anche il mondo che lo circonda, diventando un vero fenomeno culturale e mediatico.