Dal cacao alle parole che scompaiono: la scienza che si fa qualunque domanda, raccontata dal nostro inviato alla 173ma edizione dell'American Association for the Advancement of Science,Paolo Pontoniere.
Una pianta di cacao (Theobroma cacao). Alcuni studi su una tribù indigena del Centro America sembrano confermare che il cacao fa bene alla salute. |
È uno splendido fine settimana anche per gli standard di San Francisco, il cui clima è quasi quello di una primavera perpetua. Ed è la cornice ideale per una rivelazione sensazionale: un team di scienziati anglo-americani ha scoperto (e dimostrato) che il cacao ha effetti strabilianti sulle funzioni cerebrali. Non tutto il cacao, purtroppo: solo i flavonoidi (composti polifenolici) contenuti nel cacao allo stato naturale riescono a migliorare le funzioni menemoniche, e stimolano la crescita dei dendriti neuronali nella zona dell'ippocampo cerebrale, incrementano la circolazione del sangue nelle aree che presiedono alle funzioni decisionali, riducono la tensione arteriosa e migliorano l'apprendimento. Le conclusioni si basano anche sulle osservazioni effettuate sui cuña, tribú indigena delle isole del versante atlantico di Panama: i ricercatori hanno messo in relazione l'uso intenso del cacao con l'assenza di malattie come il cancro, l'ipertensione e le ischemie, dimostrando che esiste un rapporto diretto tra cacao e qualità e durata della vita dei cuña. Vantaggi di cui non godono i cuña che si sono trasferiti in ambiente urbano, dove consumano, come tutti, cacao e derivati (cioccolato compreso) prodotti con metodi industriali.
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All'insaputa di noi comuni mortali, c'è un dibattito che da un po' "scalda" i circoli orntilogici del mondo: il picchio dal becco d'avorio si è estinto o sta felicemente volando nelle foreste dell'Arkansas, protetto dal fitto fogliame? Per risolvere la questione gli studiosi hanno chiesto aiuto alla National Science Foundation, che ha suggerito di affidare l'osservazione a un... robot! Ora nel bel mezzo della foresta c'è una macchina che tiene due telecamere puntate verso il cielo: ogni volta che qualcosa entra nel suo campo visivo, scatta una foto. L'osservatore non ha però ancora dato una risposta definitiva: anatre e aironi blu in abbondanza, e altre immagini troppo sfocate per dire con certezza se il picchio vola ancora oppure no.
Non so più come dirtelo
Ci sono anche lingue in via di estinzione, come il tuvan, difficile da sentire per chi non abbia passato qualche tempo tra i chulym siberiani. Adesso salta fuori che gli stessi chulym hanno le loro belle difficoltà a capirlo: dei 426 membri della tribù solo 35 sono ancora in grado di parlarlo. Un dramma, questo, che non ha solo implicazioni antropologiche: «La scomparsa di questa lingua è una grave perdita per tutti», afferma David Harrison, il linguista che ha condotto la ricerca, perché i chulym hanno preziose conoscenze su piante medicinali, meteorologia e migrazioni animali della regione. Descritte solo in chuly, queste conoscenze spariranno col linguaggio che le definisce. Andando ad aggiungersi a tutto quello che perderemo con la scomparsa di 3-4.000 lingue nel giro di pochi decenni.
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Davanti a un'opera d'arte possiamo restare semplicemente estasiati. Ma non è così per tutti: un esperto d'arte, per esempio, si sentirà subito in dovere di chiedersi se quello che sta guardando è un originale o un falso. Una domanda molto semplice che può trasformarsi in un incubo e che raramente produce una risposta inconfutabile. Qualche speranza arriva però da un gruppo di esperti del digitale (programmatori, fotografi e altri), che ha concluso uno studio sul lavoro di Pieter Bruegel (ca. 1525-1569) e, sembra, sia riuscito a individuare una "chiave di lettura" (in pixel!) che potrebbe assicurarci statisticamente del fatto che un'opera è stata prodotta veramente dal pittore fiammingo. Lo stesso metodo è stato usato per verificare l'autenticità di alcune opere di Man Ray, fotografo statunitense, (e dall'analisi digitale si è scoperto che erano dei falsi), e sarà messo alla prova anche sulle opere di Van Gogh (si sa che di falsi suoi, in giro, ce ne sono a migliaia). La scienza ha dato il colpo di grazia ai falsari? Purtroppo no: i ricercatori hanno spiegato che il loro metodo offre solo una certezza statistica. Come dire che non c'è garanzia: alla fine, come già sapevano gli esperti d'arte, sono il colpo di pennello e l'uso del colore che distinguono un artista da tutti gli altri.
L'Enterprise è ispirata dagli alieni
Alcuni incontri riflettono la curiosità di ricercatori e scienziati nei confronti di una consistente fetta delle popolazioni dei Paesi occidentali, che sembra credere in fenomeni e "verità" pseudo scientifiche. È un trend in crescita sia nella vecchia Europa (con la contestazione, per esempio, della teoria dell'evoluzione della specie) sia negli Stati Uniti, dove il fondamentalismo religioso cresce accanto alla fede nell'astrologia e al culto degli exta terrestri. E tutto ciò accade a dispetto del fatto che la percentuale di chi possiede conoscenze scientifiche di base sia passata (negli Usa) dal 10 per cento del 1988 al 25 del 2005. Un risultato positivo, ottenuto, secondo John Miller, della Michigan State University, grazie alle maggiori conoscenze scintifiche richieste per essere ammessi in olte università americane. Purtroppo, commenta Raymond Eve (Texas University) l'enorme diffusione di fiction televisive come Star Trek e Twilight Zone hanno avuto un grande impatto sull'immaginazione e sulle convinzioni dei giovani.
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Hai talento? Sei a rischio
Per Sian Beilock (docente di psicologia) e il suo team della Chicago University non se la cavano bene nemmeno gli adulti dotati di particolari talenti: in situazioni stressanti finiscono col crollare più facilmente di una "persona qualunque". Secondo Beilock, questo sarebbe dovuto all'effetto dello stress su alcune zone della memoria, a cui le persone di talento tendono ad affidarsi per risolvere i problemi più disparati: quando la memoria viene compromessa dallo stress, non riescono più a pensare chiaramente e ad attingere al loro bagaglio di conoscenze. Così si affidano al "caso" e commettono errori (anche nelle attività più banali) più facilmente di chi è meno dotato, che si è invece sudato le sue esperienze sul campo e ha sviluppato strategie anti stress di grande efficacia.
Ascolta con le staminali
Dai talentati a rischio stress ai "diversamente abili" per annunciare una buona notizia: i ricercatori della Stanford University (California) fanno sapere che possono curare la sordità col trapianto di cellule staminali. È Stefan Heller, dell'ateneo californiano, a esporre il piano previsto per la sua ricerca: «Entro cinque anni, dopo tutte le sperimentazioni necessarie, la cura della sordità potrebbe essere una realtà». Una curiosità: negli Usa la ricerca sulle staminali è stata fermata ovunque da una legge del governo federale, con l'unica eccezione della California, che non solo non ha riconosciuto la legge, ma ha addirittura inserito nella sua costituzione un esplicito riferimento al diritto di svolgere ricerche sulle cellule staminali.
Da San Francisco, Paolo Pontoniere
(Notizia aggiornata al 20 febbraio 2007)