Completato il primo prototipo di un apparecchio che, innestato nella parte interna dell'occhio, potrà sostituire le cellule non funzionanti della retina.
Stacey Bent e Harvey Fishman mostrano il prototipo che un giorno potrebbe aiutare a ridare al vista a chi ha la ertina danneggiata. Foto: ©: L. A. Cicero/Stanford University. |
Un gruppo multidisciplinare della Stanford University ha completato il primo prototipo di un apparecchio capace di sostituire le cellule fotosensibili della retina Questo nuovo strumento, pensato per sostituire i fotorecettori danneggiati, non lavora elettronicamente, ma chimicamente. Gli impianti attuali, infatti, usano chip che convertono la luce in impulsi elettrici che vengono inviati al cervello tramite il nervo ottico. Il nuovo strumento, che sarà posizionato sulla retina danneggiata, convertirà invece la luce in sostanze chimiche atte a stimolare le cellule nervose. Come è noto, la retina è la superficie sulla quale si proietta la luce messa a fuoco dal sistema di lenti dell'occhio; è una struttura molto complessa formata da più strati, uno dei quali contiene i fotorecettori (coni e bastoncelli) che sono collegati a terminazioni nervose che vanno a formare il nervo ottico.
La chimica batte l'elettronica. «È il santo Gral delle protesi - ha dichiarato il dottor Stacey Bent, .- e costituisce un nuovo approccio per sostituire una retina danneggiata». Il problema con gli impianti elettronici sviluppati sino ad ora, è stato quello di renderli biocompatibili; d'ora in poi si potrà utilizzare un impianto programmato per rilasciare neurotrasmettitori proprio come la retina fa naturalmente.
Lo strumento sarà realizzato con il materiale di un morbido polimero che si conformerà alla curvatura del retro dell'occhio e prevede che le cellule del nervo siano “pre-posizionate” in uno strato posteriore all'impianto. Ciò affinché siano in una posizione migliore per reagire allo stimolo dei fotorecettori collegati alle terminazioni nervose.
I test di laboratorio previsti monitoreranno se l'impianto è ben connesso al nervo ottico in modo da inviare i segnali al cervello. Se i test saranno positivi, seguiranno gli esperimenti sugli animali.
(Notizia aggiornata al 8 gennaio 2004)