Robot e sofisticati strumenti tecnologi sono già da tempo nelle sale operatorie e nei laboratori degli ospedali: automazione e sistemi di controllo remoto saranno presto disponibili per migliorare anche le prestazioni di assistenza sanitaria d’emergenza.
Ambulanze driverless. Sono milioni le persone che ogni anno, nel mondo, vengono soccorse da un’ambulanza, ma l’attuale organizzazione dei mezzi di soccorso, che prevede una persona designata esclusivamente alla guida del veicolo, può essere migliorata.
In alcuni Paesi (per esempio in Inghilterra) si valuta la possibilità di impiegare ambulanze dotate di sistemi di guida autonoma. Auto e camion senza conducente (driverless) sono da anni in fase di sperimentazione e recentemente, seppure in aree non pubbliche, sono entrati in attività. Non è escluso che avremo presto ambulanze senza conducente, che si ritiene possano “liberare” un paramedico dal compito di autista per dedicarlo all'assistenza del paziente.
Se vedrà la luce, la sperimentazione sarà graduale: inizialmente è infatti previsto l’impiego di ambulanze driverless per il solo trasporto di pazienti a basso rischio verso l'ospedale più vicino e lungo percorsi predefiniti. Tutto ciò permetterebbe un miglior servizio di assistenza, almeno in teoria, e certamente un significativo risparmio economico.
Defibrillatori volanti. Le ambulanze a guida autonoma non sono l'unica novità hi-tech in vista: i droni, sempre più diffusi per scopi militari e scientifici, e con grandi potenzialità nelle attività commerciali (vedi i postini di Amazon), potrebbero intervenire anche nel soccorso di emergenza.
Uno studio statistico condotto da un istituto clinico svedese ha analizzato la possibilità di usare droni per soccorrere persone colpite da arresto cardiaco. Sono oltre 100.000 all’anno gli infarti che si verificano in Italia: la sopravvivenza è questione di tempo e la tempestività del primo soccorso è fondamentale. La diffusione capillare sul territorio delle "colonnine con defribillatori" ha permesso di ottenere buoni risultati, ma si può fare di meglio.
La ricerca ha messo a confronto i tempi d’intervento delle ambulanze con i tempi di assistenza forniti da droni appositamente equipaggiati: nella media, l'impiego di droni ridurrebbe i tempi di oltre 16 minuti. Jacob Hollenberg (Karolinska Institute di Stoccolma), che ha condotto lo studio, descrive la maggiore criticità: «Ogni minuto che passa dal collasso, le possibilità di sopravvivere scendono del 10%: dopo 10-12 minuti le possibilità di sopravvivenza sono vicine allo zero».
Nell'ambito della sperimentazione, con la collaborazione dell’agenzia dei trasporti svedese è stato sviluppato un drone multirotore del peso di 5,7 kg, equipaggiato con un sistema GPS e un defibrillatore automatico esterno (DAE).
Per lo studio, il drone, che può raggiungere una velocità massima di 75 chilometri all'ora, è stato ospitato in una stazione dei vigili del fuoco di una zona molto frequentata a nord di Stoccolma. Il drone ha risposto a 18 chiamate di soccorso per arresto cardiaco nel raggio di 10 km dalla sua base, e ha ottenuto ogni volta prestazioni migliori delle ambulanze.
I risultati hanno mostrato che il tempo medio di arrivo sul luogo dell'intervento è stato di 5 minuti e 21 secondi per il drone, contro i 22 minuti delle ambulanze.
I limiti della tecnologia. L'impiego di droni e ambulanze self-driving dovranno però tener conto di alcuni limiti. Lo studio sull'impiego dei droni è stato condotto su un numero estremamente ridotto di voli e in condizioni di traffico aereo e meteorologiche controllate. Inoltre, come sottolinea lo stesso Hollenberg, «bisognerà ancora lavorare con le autorità di controllo del traffico aereo» per dotarsi di norme condivise sull'impiego dei droni.
In più, i progetti di automazione dei sistemi di soccorso dovranno fare i conti anche con questioni come la fiducia: un sondaggio su di un migliaio di persone negli Stati Uniti ha rivelato che oltre il 50% degli intervistati preferirebbe un autista umano a bordo delle ambulanze.