Quante password maneggiamo? C'è chi dice che siano almeno una mezza dozzina. Ma è un calcolo ottimista: tutti i servizi che usiamo sul web (e non solo) ci richiedono password sempre più lunghe e complesse, che costano ai più un grande sforzo di memoria. E se invece di ricordare le password, le… mangiassimo?
La proposta l'ha lanciata qualche giorno fa la Motorola: una pillola con all'interno un chip capace di generare un segnale che ci "autentica" quando ce n'è bisogno. Una volta ingerita la pastiglia, lo stomaco agirebbe come un elettrolita sulla batteria del chip facendogli generare un segnale a 18 bit simile a quello di un elettrocardiogramma. Il risultato è una sorta di password elettrica che, grazie alla conduttività del corpo umano, diventa trasmissibile attraverso il tatto.
Fantascienza? No, pillole dotate di microchip esistono già. A marzo dell'anno scorso la Food and Drug Administration (Fda) americana ha approvato la commercializzazione di un sensore ingeribile per uso medico: l'Ingestion Event Marker (IEM) della Proteus Health. In questo caso la pillola non funziona da sola, ma è parte di un sistema di feedback digitale costituito da un microchip poco più grande di un granello di sabbia, da un sensore indossabile attraverso un cerotto e da un'app che permette di visualizzare i dati su uno smartphone. Il sistema si basa sulla comunicazione tra la pillola e il cerotto per rilevare dati fisiologici in seguito all'assunzione di farmaci. Quando la pillola viene a contatto con i succhi gastrici invia un segnale al corpo che viene "letto" dal cerotto, che a sua volta trasmette questa informazione assieme ad alcuni parametri fisiologici allo smartphone. E il medico può facilmente sapere se abbiamo preso le medicine e la reazione del nostro corpo.
L'idea di pillole con queste caratteristiche naturalmente non incontra solo favori: i detrattori paventano la possibilità di pillole contenenti microchip a nostra insaputa, utilizzate per il controllo degli spostamenti o comunque in violazione della privacy. Ma anche limitando il discorso agli usi in medicina, le perplessità riguardano la possibilità di intercettazione del segnale inviato dalla pillola allo smartphone o allo studio del medico.
L'alternativa alla pillola è il tatuaggio-chip, che avrebbe una durata maggiore della pastiglia, il cui destino è inevitabilmente legato alle fasi della digestione.
Certo, non dover più ricordare le password d'accesso non sarebbe male. Secondo una ricerca del produttore di antivirus Kaspersky, il 71% di noi è costretto a memorizzare le password per non lasciarle in giro.
Questo comporta tre tipi di problemi: dimenticare la password, essere costretti ad adottarne di troppo semplici o usare la stessa password per più servizi, dall'home banking all'accesso a Facebook, facilitando il lavoro ai malintenzionati. Ma sareste davvero disposti a mandare giù una pillola per evitarlo? E a farvi tatuare - e perciò "registrare" - per sempre?