Siamo nel 2011, è vero, eppure spesso mi domando come mai certe brutte abitudini non cambino mai. Mi riferisco, da addetto ai lavori, al fatto che fin da tempi non sospetti il mondo videoludico è sempre stato regolato da leggi a volte non sempre chiare, sorrette da ragioni evidenti o supportate da scelte di marketing vere e proprie. Un mistero insomma per chi vuole solo divertirsi con i bei giochi.
Con questa mia riflessione vorrei portare l’attenzione sul fenomeno del cosiddetto mercato Import, probabilmente meno forte ed evidente rispetto a venti anni fa o sconosciuto all’utenza più giovane, ma sicuramente non scomparso ed anzi, tuttora vivo e vegeto. Ad alimentare questo mercato “parallelo” fatto di videogiochi spesso molto belli e che meriterebbero di essere giocati da tutti e non di restare confinati in un solo territorio (quello giapponese spesso e volentieri) non è certo l’utenza, ma chi tira le fila e decide che cosa, quando e dove pubblicare un determinato titolo, senza pensare alle conseguenze di ogni scelta.
Due esempi che mi vengono in mente, ad avvalorare questa mia teoria, purtroppo fin troppo confermata dai fatti anche nel recente periodo e con titoli che in passato hanno rappresentato esclusive delle maggiori case di sviluppo sono The Last Story (qui la recensione su UpperPad) per Nintendo Wii, epica avventura in chiave fantasy, nonché l’altrettanto coinvolgente Xenoblade. Se per il primo vi sono ancora diversi dubbi legati al suo approdo in suolo americano o europeo, il secondo è stato ufficialmente confermato da Nintendo. Perché dunque attendere ogni volta così tanti mesi per poter “regalare” ai giocatori prodotti validi senza farli stare sulle spine? A voi le vostre riflessioni.
Roberto Ritondo