La corazza dei gamberi contiene un biopolimero, la chitina, che aggiunto alla pasta di cemento lo rende fino al 40% più resistente: è quanto scoperto da uno studio pubblicato su Cement and Concrete Composites, che sottolinea come l'utilizzo degli scarti dei gamberi contribuirebbe a ridurre le emissioni di CO2 prodotte dall'industria del cemento. «Aumentando la resistenza del cemento, questa nuova miscela può aiutare a ridurne la quantità necessaria, facendo dunque diminuire le emissioni di CO2 durante la produzione», spiega Somayeh Nassiri, autrice della ricerca.
Due problemi, una soluzione. Il cemento è il materiale più usato al mondo dopo l'acqua: produrlo emette moltissima CO2, poiché richiede l'uso di combustibili fossili per raggiungere i 1.500 °C necessari alla cottura del clinker (la "base" costituita da calcare o gesso e argilla). L'industria cementiera è responsabile di circa il 15% dell'intero consumo energetico industriale e del 5% delle emissioni di gas serra a livello mondiale.
Anche i rifiuti ittici sono un serio problema per l'industria peschiera: ogni anno l'Europa da sola produce 2,5 milioni di tonnellate di scarti, la maggior parte dei quali finisce in mare. L'idea dei ricercatori della Washington State University contribuisce dunque a risolvere due problemi – quello delle emissioni dell'industria cementiera e quello dei rifiuti dell'industria ittica – riutilizzando materiali di scarto nell'ottica di un'economia circolare.
Perché funziona? Le corazze dei granchi, dei gamberi e delle aragoste sono fatte per il 20-30% di chitina, e per il resto di carbonato di calcio. Il successo della chitina come indurente è dovuto al modo in cui interagisce con le particelle di cemento: «Le nanoparticelle di chitina respingono le particelle di cemento, cambiandone la capacità di idratazione», spiega Michael Wolcott, uno degli autori.
Più resistente, più a lungo. Aggiungendo i nanocristalli di chitina alla miscela di cemento, gli studiosi sono riusciti dunque a migliorare diverse proprietà del materiale, tra cui la consistenza, il tempo di presa, la durezza e la resistenza. Il cemento "bio" è risultato un 40% più resistente alla flessione e un 12% più resistente alla compressione. «Se riusciremo a ridurre la quantità di cemento che utilizziamo, mantenendone le funzioni strutturali e meccaniche e raddoppiandone la vita utile, allora potremo ridurre notevolmente le emissioni di CO2 derivanti dal settore edilizio», conclude Wolcott.