Innovazione

Il primo elicottero a pedali

Un italiano nel progetto.

Cos’hanno in comune Leonardo da Vinci ed i kaiju del cinema giapponese? Per chi non avesse dimestichezza con quest’ultimo tema, precisiamo subito che si tratta di quei mostri giganteschi - come Godzilla, ad esempio - che tanto successo hanno avuto nel filone fantascientifico degli anni Sessanta: tra queste “bestie strane”, ve n’è una che si chiama Gamera ed è una specie di testuggine ciclopica che sputa fuoco dalle fauci; tra i suoi superpoteri, c’è anche quello di volare come un razzo, nonostante la sua imponente mole. Il noto scienziato toscano, invece, per primo ha teorizzato il volo umano a bordo di una macchina ed ha fortemente influenzato tutte le successive ricerche in questa direzione. Siamo certi, però, che ancora non avrete colto il nesso tra i due, vero?

Allora ve lo sveliamo subito: sta per decollare il primo elicottero a propulsione umana ed il suo nome è appunto Gamera. Il progetto è stato realizzato nell’arco di un paio d’anni da un gruppo di scienziati dell’Università del Maryland ed ha portato allo sviluppo di un velivolo con pale larghe un terzo di un campo da calcio e pesante meno di un quintale, perché costruito interamente con materiali leggerissimi, come la balsa e la fibra di carbonio. Il suo motore sarà lo stesso pilota, nonché unico passeggero, che lo farà librare in aria pedalando con vigore: se riuscirà nell’impresa di sollevarlo oltre i 3 metri d’altezza per almeno un minuto, supererà la cosiddetta sfida di Sikorsky - indetta dall’Americana Helicopter Society nel 1980 - e si aggiudicherà il premio in palio di 250.000$. Tra i membri del team, va segnalata la presenza del professor Antonio Filippone, italiano DOC ed esperto di fluido ed aerodinamica dell’Università di Manchester, che ha prestato un contributo significativo nello sviluppo delle simulazioni al calcolatore, che hanno consentito di verificare il reale funzionamento del Gamera.

Orgoglio nazionale a parte, questo è un cerchio che si chiude e che ha per centro l’italico ingegno: ci rammarica soltanto constatare per l’ennesima volta che menti così brillanti siano costrette ad emigrare all'estero, per potersi esprimere con i mezzi più appropriati ed i giusti investimenti. Se Filippone non se ne fosse mai andato, con ogni probabilità la sfida sarebbe stata vinta da un istituto italiano, che avrebbe potuto impiegare la borsa di studio per compiere nuove ricerche che, a loro volta, avrebbero portato nuovi introiti: anche questo è un cerchio e sarebbe altrettanto importante chiuderlo, eppure in Italia sono in pochi ad averlo capito.

(ga)

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11 maggio 2011 Luca Busani
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