A guardarlo da fuori pare un capannone industriale simile a molti altri. Certo, è assai grande, praticamente quanto uno stadio di calcio: 120 metri di lunghezza per 65 metri di larghezza. Ed è anche alto 30 metri, come un palazzo di 10 piani. Ma nulla, se non forse i camion-frigorifero fermi a caricare e il fatto che la struttura si trovi nel sito produttivo di un'azienda di surgelati, lascia intendere dall'esterno ciò che questa struttura è nella realtà. E, cioè, il più grande freezer d'Italia, e uno tra i più grandi d'Europa.
UNA SCATOLA molto fredda. Siamo a Cesena, nel principale centro di produzione di Orogel, azienda con particolarità che la fanno pioniera nel campo. E siamo qui per scoprire come questa enorme, freddissima scatola sia stata pensata e costruita nell'ambito di un progetto che ha richiesto 40 milioni di investimenti e che vedrà sorgere anche un impianto di confezionamento e un'altra cella frigorifera simile, ma più piccola.
L'enorme magazzino, interamente automatizzato e da poco entrato in funzione, è mantenuto a una temperatura di -25 °C, distribuita in modo uniforme in tutto l'ambiente che contiene oltre 400.000 quintali di verdure surgelate. Un prodotto che viene stoccato qui, proveniente dai vicini impianti di surgelazione, già pronto per essere inviato ai punti vendita oppure "semilavorato", cioè in attesa di passare alle linee di confezionamento. Ma come si progetta e si costruisce un "mostro" di tali dimensioni? Di quali soluzioni tecnologiche e impiantistiche necessita? Come si fa a mantenere stabile la temperatura, riducendo al minimo le dispersioni? E come si fa a generare il freddo necessario a ri-creare un pezzo di Artico nel cuore della Romagna?
Per scoprirlo entriamo nella cella frigorifera in un giorno di metà ottobre, una data scelta con attenzione, subito prima dell'inizio della lunga fase di raffreddamento destinata a portare in un mese o poco più l'interno ai -25 °C voluti. «Il raffreddamento della cella», ci dice Valter Zino, direttore generale impianti e tecnologie di Orogel, «è un momento critico e va fatto con estrema lentezza, perché l'abbassamento troppo rapido della temperatura può avere effetti anche disastrosi sulle strutture: il cemento e le parti in acciaio potrebbero ritrarsi e trascinare con sé l'involucro esterno con i pannelli utilizzati per la coibentazione. In passato ci sono stati episodi di celle frigorifere, di piccole dimensioni, che sono collassate per questo motivo».
TUTTO AUTOMATIZZATO. L'automazione è un altro aspetto fondamentale: qui tutto viene trasportato in modo automatico, riducendo al minimo l'intervento dell'uomo. «Questo avviene», sottolinea Zino, «sia per sfruttare al meglio lo spazio disponibile, grazie a un software che sa immediatamente dove collocare o prelevare il prodotto, sia per migliorare le condizioni di lavoro del nostro personale, che non è più costretto, come si fa in un ciclo tradizionale, a entrare e uscire continuamente da ambienti a -25 °C per movimentare le verdure surgelate».
Il cuore della struttura è l'enorme magazzino, esteso 14.000 m². L'impatto con il suo interno è impressionante. Pare un'altissima cattedrale, completamente buia e illuminata solo da luci a Led, in cui invece delle colonne si innalza sopra le nostre teste una foresta di travi d'acciaio che partono dal pavimento e arrivano al soffitto. Hanno una duplice funzione: sostenere i livelli interni in cui vengono collocati i pallet di surgelati e reggere l'intera struttura, anche con funzione antisismica.
IL SISTEMA DI TRASPORTO. La selva di travi d'acciaio è interrotta a intervalli regolari da corridoi stretti e lunghi quanto l'intero magazzino, in cui scorrono, guidati da due binari, le "navette", cioè le piattaforme mobili che collocano in totale autonomia il prodotto sugli scaffali.
Si tratta di "trasloelevatori", cioè di elementi che spostano in orizzontale (traslano) e in verticale (elevano) la merce. Memorizzano la posizione in cui sistemano ogni pallet e la trasmettono al software di gestione.
La totale automazione guidata dalla gestione informatica permette la tracciatura di ogni prodotto. Quando sarà il momento della spedizione le navette sapranno esattamente dove recuperarla.
Mantenere la temperatura voluta all'interno di questo enorme volume è possibile grazie a una sapiente combinazione tra gli impianti che generano il freddo, quelli che fanno circolare l'aria all'interno e soluzioni ingegneristiche adottate per ridurre al minimo le dispersioni. «Dobbiamo immaginare questo magazzino», dice Zino, «come un'enorme scatola perfettamente coibentata, praticamente senza dispersioni verso l'ambiente esterno e verso la falda idrica sotterranea che, se dovesse ghiacciare, creerebbe seri problemi al funzionamento dell'impianto». Per ottenere il massimo isolamento termico, dice ancora Zino, «l'involucro è stato realizzato con pannelli "sandwich" ad alta coibenza, costituiti da due pareti parallele di lamiera in mezzo alle quali viene iniettata una miscela di poliuretano espanso. La schiuma poliuretanica è altamente infiammabile, per cui abbiamo deciso di adottare un prodotto innovativo, che abbiamo contribuito a sviluppare insieme con il produttore e che abbiamo certificato.
Una delle sue caratteristiche, diversamente dal poliuretano espanso "normale", è la capacità, in caso improbabile d'incendio, di impedire alla fiamma di propagarsi e di produrre esalazioni».
Il freddo necessario a tenere l'enorme cella a -25 °C è generato da una centrale che utilizza come fluido refrigerante l'ammoniaca, la sostanza più utilizzata per questi scopi a livello industriale perché più facile da gestire su queste dimensioni e meno dannosa per l'ambiente rispetto a quelle usate negli impianti di refrigerazione e climatizzazione domestica. Il ciclo non genera soltanto il freddo per la cella, ma recupera anche calore dai compressori utilizzati per l'ammoniaca, utilizzato per un sistema di riscaldamento a pavimento "affogato" nella soletta del magazzino. La sua funzione è creare un'ulteriore barriera a una possibile dispersione verso la falda acquifera. «Il nostro», spiega Zino, «è un ciclo "bistadio", in cui, cioè, l'ammoniaca viene sottoposta a due compressioni successive, una per ottenere l'energia frigorifera usata nei locali di servizio e di lavorazione che manteniamo tra 0 °C e -5 °C, e una per produrre i -25 °C necessari alle celle di conservazione».
Attiguo al grande magazzino refrigerato si trova poi un altro ambiente, la "anti-cella" di spedizione, che si apre sull'esterno con sette portoni automatici, chiamati baie. E alle baie si accosta l'apertura posteriore dei camion frigoriferi, pronti a ricevere il carico.
Sul camion a tempo di record. Anche qui l'automazione è massima e la temperatura è controllata per non interrompere la cosiddetta "catena del freddo". In altre parole, il prodotto surgelato non si trova mai in situazioni in cui potrebbe anche solo parzialmente scongelarsi. Come funziona questa parte della struttura? Anche in questo caso, è Valter Zino a venire in nostro soccorso con la risposta: «Il sistema informatizzato che governa il magazzino», ci dice, «conosce il calendario delle spedizioni e l'orario dell'effettivo arrivo dell'automezzo. Di conseguenza prepara nel momento desiderato il carico, disposto su tre "rullerie" (sorte di passerelle a rulli che spostano velocemente i pallet). Le rullerie sono tre per ogni baia di carico perché sono dimensionate per ospitare la massima quantità di pallet, cioè 34, che può contenere l'autoarticolato. Anche la disposizione del carico è studiata con intelligenza, tenendo già conto della sequenza inversa di scarico. In questo modo l'operatore che lavora nell'anti-cella dovrà effettuare soltanto gli ultimi controlli per verificare che tutto sia in ordine e corrisponda alla pianificazione».
Ogni cosa è stata studiata per riempire un camion anch'esso a tempo di record: appena 25 minuti.