Innovazione

E se non ci fosse il pilota? Le tecnologie allo studio per far volare gli aerei da soli o da remoto

Addio "vecchio" comandante: per volare più sicuri e a costi inferiori, gli aerei di domani potrebbero avere la cabina di pilotaggio vuota.

«Buongiorno, sono il comandante di questo aereo. Al momento la quota di volo è di circa 9 mila metri e la velocità è di 850 km/h. A breve inizieremo la discesa verso l’aeroporto, dove atterreremo tra 20 minuti».

Cosa c’è di strano in queste parole? Nulla, se non fosse che il pilota che le ha appena pronunciate non si trova nella sua “solita” cabina – lì in fondo al corridoio, qualche metro davanti a noi – ma una decina di chilometri più giù, davanti a un pc, e ci sta guidando con mouse e tastiera da una sala operativa. Proprio così: siamo a bordo di un aereo senza pilota.

Tranquilli: per ora si tratta soltanto di una “visione dal futuro”, di un’ipotesi che, a giudicare da una serie di progetti sui quali stanno lavorando i grandi nomi dell’industria aeronautica mondiale, potrebbe un giorno diventare realtà.


Prima di capire quando questa svolta si realizzerà (e con quali ricadute) è lecito però farsi una domanda: al di là degli eccezionali fatti di cronaca di questi giorni legati al terribile incidente dell'aereo della Germanwings, per quale motivo un domani dovremmo imbarcarci su un aereo... telecomandato?

Errare è umano. Una prima risposta viene dalle statistiche e metterà in discussione le certezze di molti. Se infatti analizziamo gli incidenti con vittime che hanno coinvolto aerei commerciali dal 2000 al 2010 (v. grafico qui sotto), ci accorgiamo che nel 54% dei casi la causa è un errore del pilota: una manovra non corretta, il mancato rispetto di una procedura standard, la valutazione errata di una situazione imprevista... In altre parole, spesso a tradire è proprio quel “fattore umano” nel quale confidiamo quando saliamo a bordo.

Le cause degli incidenti aerei, con vittime, dagli Anni ’50. Oggi l’errore del pilota è alla base di più della metà degli incidenti; il trend è in crescita.

Oltretutto eliminare la figura del pilota avrebbe effetti positivi sui bilanci delle compagnie aeree, dove la relativa voce di costo – tra stipendi, benefit, spese per l’addestramento ecc. – è una delle più importanti dopo quella del carburante. Senza contare che le stesse compagnie non avrebbero più la necessità di formare equipaggi “maggiorati”, di 3 o anche 4 piloti: questo oggi avviene soprattutto nelle rotte più lunghe, per garantire il rispetto dei limiti imposti dalle autorità aeronautiche sul tempo massimo di permanenza ai comandi per un pilota – tra 11 e 13 ore, a seconda del tipo di volo – e sul riposo minimo tra un volo e l’altro.


In più, c’è anche chi immagina che, una volta che la cabina di pilotaggio restasse inutilizzata, le compagnie aeree potrebbero valutare l’ipotesi di trasformarla in una “super business class” con visuale panoramica mozzafiato: un optional esclusivo da offrire ai passeggeri disposti a pagare profumatamente.

come droni. Nel frattempo, tra quelli che ci scommettono, c’è già chi è approdato a una prima fase di sperimentazione. Si tratta di un consorzio britannico del quale fanno parte, tra gli altri, grandi aziende aeronautiche (come Airbus), produttori di motori (Rolls-Royce) e imprese specializzate nel campo della robotica e dei droni militari (Bae Systems).

Dal 2006 gli ingegneri di Astraea – così si chiama il consorzio – stanno sviluppando il più avanzato progetto di aereo commerciale pilotato da remoto, partendo da questa idea: visto che già ora, quando sono ai comandi, i piloti delegano parte dei loro compiti all’autopilota e agli altri sistemi automatici di bordo, perché non accentuare ulteriormente questo “scambio” di ruoli? Qualcosa di simile, del resto, accade da anni con i droni che l’aviazione Usa impiega in operazioni di ricognizione e bombardamento negli scenari di guerra: gli “aerei-robot” gestiscono le missioni con una certa autonomia, entro limiti imposti da un computer di bordo, mentre al pilota (che si trova in una postazione lontana migliaia di chilometri) resta la funzione di supervisore.

Un velivolo trasformato in “senza pilota” per un test: i piloti in realtà c’erano e sono intervenuti in alcune fasi. © Cortesia BAE Systems

alla prova. I primi test del consorzio Astraea sono stati condotti nel 2013 tra Inghilterra e Scozia e hanno visto protagonista un comune aereo commerciale da 18 posti, un Jetstream 31, trasformato in un “senza pilota” (o quasi) per l’occasione.

Il Jetstream 31 usato nel test. © Cortesia BAE Systems

Durante il volo principale, pilotato a distanza in tutte le fasi fuorché il decollo e l’atterraggio (effettuati manualmente da due piloti imbarcati apposta), sono stati sperimentati in particolare due elementi: il sistema di comunicazioni, che deve garantire al pilota a terra la possibilità di prendere (se necessario) il controllo manuale dell’aereo, oltre che di scambiare le consuete informazioni con la torre di controllo, e i cosiddetti dispositivi di “evitamento”.

Parliamo di sistemi avanzatissimi di sensori e telecamere, collegati con i computer di bordo, che consentono all’aereo di mantenersi a distanza da edifici e da altri velivoli, di riconoscere potenziali minacce meteorologiche semplicemente “scansionando” le nuvole e persino di cercare una pista di fortuna nel caso in cui fosse necessario eseguire un atterraggio di emergenza in completa autonomia.

Prima di entrare in servizio, l’aereo senza pilota dovrà dimostrare di poter gestire un’emergenza in autonomia, anche nel caso in cui cadesse il collegamento col “pilota remoto”. I sistemi impiegati dal prototipo di velivolo automatico sono tre. Il primo prevede una telecamera che scruta il cielo e traccia una rotta alla larga da pericoli meteo. Il secondo si basa su sistemi radio e video che rilevano la presenza di altri aerei per evitarli. Infine il terzo, nel caso di atterraggi di emergenza: se ci sono animali, il sistema a infrarossi li rileva e attiva la ricerca di altre piste.

«I risultati dei test sono incoraggianti», spiega Lambert Dopping-Hepenstal, direttore del programma Astraea, «e in particolare confermano che, grazie alla loro capacità di autodeterminazione, questi aerei sapranno operare nella massima sicurezza e prendere le decisioni più idonee, anche quando dovessero interrompersi, per un’avaria, le comunicazioni con la base a terra. Tra qualche anno potremmo vederli già impiegati in missioni di ricerca e soccorso di dispersi in mare».



Un “pilota da remoto” manovra l’aereo attraverso mouse e tastiera. © Cortesia BAE Systems

autopilota sì, ma... Di qui a ipotizzare una imminente invasione di aerei-robot, però, ce ne passa. Soprattutto a sentire le parole di un comandante in carne e ossa: «Innanzitutto», spiega Andrea Lanfrancotti, di professione pilota di Boeing 777 a lungo raggio, «sfaterei il mito secondo il quale, tra autopilota e computer di bordo, il pilota ormai avrebbe un ruolo marginale in cabina. Tutt’altro: ancora oggi alcune manovre si effettuano manualmente, senza contare che sia il comandante sia il secondo si distribuiscono una serie di altri compiti di programmazione e controllo dei computer di navigazione e dei sistemi di bordo, per i quali essere “sul posto” dà tutta una serie di vantaggi. Soprattutto nel caso di un’emergenza non prevista dai manuali. E comunque, prima di arrivare al giorno in cui il pilota si limiterà a condurre un aereo o una flotta di aerei a distanza, sono sicuro che ci sarà una tappa intermedia, nella quale a essere sostituito sarà il secondo pilota».

Uno degli aspetti chiave per un aereo automatico è poter contare su un’efficiente comunicazione (radio, satellite) tra pilota a terra, velivolo e torre di controllo.

Un’ipotesi, quella del pilota singolo in cabina che, alla luce di quanto successo sul volo della Germanwings, non sembra efficiente per evitare quel genere di incidenti, ma alla quale stanno già lavorando diversi centri ricerche nel mondo (tra cui nomi come Airbus, Boeing e Darpa, l’agenzia che sviluppa tecnologie per l’esercito e l’aviazione Usa). L’idea, in questo caso, è di aiutare il pilota nelle situazioni più stressanti, in particolare in quelle emergenze in cui è bersagliato da una raffica di allarmi e di messaggi di pericolo che, è stato dimostrato, più che aiutarlo finiscono per generare in lui uno stato di confusione. Ed eventualmente di "togliere il comando" quando si verificano episodi come quelli di Germanwings.

senza il papà. Ma anche quando i velivoli senza pilota saranno “certificati”, avranno cioè dimostrato di rispondere a tutti i requisiti tecnologici e di sicurezza necessari per coesistere sia con i loro “simili”, sia con aerei pilotati da umani, alzi la mano chi non avrebbe (almeno!) qualche ritrosia al momento di salire sulla scaletta.

«L’atteggiamento dei passeggeri sarà in effetti un problema per le compagnie aeree», conferma Andrea Castiello d’Antonio, esperto in psicologia dell’aviazione, «perché a un’esperienza che già di per sé è percepita come innaturale (in aereo si sta al chiuso, immobilizzati e sospesi nel vuoto) si aggiunge la paura irrazionale della mancanza di un contatto umano. Questo perché il comandante ci ricorda la figura paterna che accudisce e tranquillizza».

Non dovremo stupirci, dunque, se saremo bombardati di campagne pubblicitarie che, dati alla mano, vorranno evidenziare l’infallibilità della macchina rispetto all’imperfezione dell’uomo.


E non basterà, perché verosimilmente assisteremo pure a una trasformazione negli aeroporti: le aree relax che già oggi si vedono negli scali più importanti, saranno – oltre che più diffuse – anche più ampie e attrezzate, in modo da consentire a tutti i passeggeri di rilassarsi e di stemperare la tensione prima di salire a bordo.

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26 marzo 2015 Roberto Graziosi
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