Il robot non si manovra a distanza, ma diventa tutt’uno con l’uomo. Gli esoscheletri di nuova generazione sono un esempio di come si sta realizzando la fusione tra uomo e macchina immaginata in tanti romanzi e film di fantascienza. Un gruppo giapponese dell’Università di Tsukuba ha sviluppato un dispositivo chiamato HAL, che sta per Hybrid voluntary and autonomous control assistive limb, ovvero arto ibrido a controllo assistito autonomo e volontario. A produrlo è la CyberDyne, spin-off dell’università.
Non solo HAL sembra l’incarnazione degli esoscheletri descritti da tanta fantascienza, sottolineano gli autori in un articolo su Science Robotics, ma in fondo l’ha già superata.
Più che fantascientifici. I robot indossabili o integrabili con il corpo e con il sistema nervoso umano, già usciti dai laboratori, non solo sono assai più avanzati dei “vecchi” robot come Mazinga Z o Goldrake, ma possiedono già alcune delle prestazioni dei più moderni colossi delle fiction, come gli Jaegers di Pacific Rim: per esempio, vengono controllati dagli esseri umani tramite interfacce neurali.
Nel caso di HAL, per esempio, sono i segnali elettrici neuromuscolari di chi indossa il dispositivo a farlo muovere. In qualche modo, cioè, l’esoscheletro viene comandato con il pensiero: basta l’intenzione di eseguire un movimento per farlo eseguire all’arto robotico come se fosse quello naturale. A sua volta, il dispositivo robotico ritrasmette al cervello un segnale di feedback, come avviene normalmente nell’interazione tra il sistema nervoso e il mondo esterno.
Utili in medicina. Proprio perché i meccanismi cibernetici di HAL permettono di eseguire movimenti volontari precisi senza affaticare i muscoli di chi lo indossa, esoscheletri e robot stanno entrando nel settore della medicina e della riabilitazione. Nell’esperienza degli studiosi giapponesi, pazienti con malattie neuromuscolari progressive che non possono muovere più di una decina di passi in autonomia, riescono a farne fino a 2.000 con l’ausilio di HAL.
Inoltre, i primi studi clinici hanno mostrato che la riabilitazione compiuta con questi sistemi per i pazienti con lesioni del sistema nervoso e paralisi è assai più efficiente di quella tradizionale. Per esempio, il gruppo di ricerca guidato da Miguel Nicolelis, alla Duke University, ha dimostrato nel primo trial clinico che con un programma di dodici mesi di allenamento con un esoscheletro, otto persone paraplegiche da anni hanno avuto miglioramenti che hanno consentito di cambiare la diagnosi da paralisi totale a parziale: un fatto senza precedenti in questo ambito.
In fabbrica e in aiuto ai soccorsi. Sperimentazioni con l’uso di esoscheletri per la riabilitazione del braccio delle persone colpite da ictus sono in corso anche alla Scuola Sant’Anna di Pisa, ma queste tecnologie non sono solo per i pazienti. Esoscheletri per il supporto della zona lombare potrebbero aiutare lavoratori in vari settori a sollevare pesi con meno rischi per la salute, oppure essere impiegati sugli scenari di disastri, per esempio per aiutare i soccorritori a rimuovere macerie.