Il guanto di paraffina serve a scoprire se una persona ha sparato da poco. Il materiale dell’innesco dei proiettili (solfuro di antimonio, nitrato di bario e stifnato di piombo) vaporizza con lo sparo, risolidifica rapidamente e si deposita sulle mani, sul viso e sugli abiti della persona, in particelle microscopiche. Esistono soluzioni chimiche (difenilamina solforica o la soluzione di Gries) che reagiscono con questi residui di combustione, ma sono corrosive e perciò non possono essere usate sulla pelle. Si usa allora la paraffina, scaldandola e cospargendola sulle mani del sospettato. Essa forma uno strato solido (un “guanto”), inglobando le tracce dell’esplosione. Poi si rimuove e si effettua su di essa l’analisi con le sostanze chimiche di cui si è detto: i residui di combustione risalteranno sotto forma di macchie blu. Ma i reagenti usati con questo metodo si comportano allo stesso modo con altre sostanze: fertilizzanti, saponi, o alcuni tipi di vio. Si rischia quindi di accusare di delitti gravissimi persone che per caso hanno toccato una di queste sostanze. Il guanto di paraffina, nato nel 1914, è stato così abbandonato. Per raccogliere i residui si usa ora lo “stub”: è un supporto metallico sul quale è incollato un nastro adesivo, che viene passato sulle mani e sugli abiti del sospettato. Le particelle di bario, antimonio e piombo eventualmente raccolte vengono poi individuate in laboratorio con un microscopio elettronico.