Esistono tre tipi di impronte digitali: visibili, modellate (dette anche per spostamento) e latenti. Le prime sono dovute al contatto di mani sporche su superfici pulite, o di mani pulite su superfici sporche o solo impolverate: le linee papillari asportano (o lasciano) lo sporco o la polvere, l’impronta rimane chiara sulla superficie e non resta che fotografarla per confrontarla con quelle già in archivio (ottenute per inchiostrazione delle dieci dita e delle palme e pressione su carta). Le impronte modellate o per spostamento sono dovute al contatto delle mani con sostanze malleabili, come cera, colla, pece e anch’esse possono essere fotografate. Diverso è il caso di quelle latenti, cioè nascoste, invisibili. Queste si producono solo perché i pori della pelle emettono una sostanza, costituita da acqua, materiale sebaceo, acidi, calcio, fosfati e la loro qualità dipende dalle condizioni psicofisiche dell’individuo (sudorazione), dalle condizioni atmosferiche e ambientali e dalla superficie (le migliori sono quelle levigate come vetro, ceramica, metalli verniciati, mobili). Per rilevarle si deve creare un contrasto tra le linee digitali e la superficie. Il metodo tradizionale consiste nello spargere con un pennello il cosiddetto grigio-argento, polvere di alluminio e additivi (che si deposita sulle linee papillari) dove si presume sia l’impronta. Se c’è, si asporta con nastro adesivo nero. Se la superficie è porosa (carta, legno grezzo), si usano reagenti chimici (ninidrina, violetto di genziana), che fanno risaltare le linee. Ultimo metodo è quello fisico, per evaporazione metallica in alto vuoto, e si usa, in genere, per superfici di plastica. In laboratorio, l’oggetto viene messo in una campana sotto vuoto. Qui si provoca l’evaporazione di una sostanza metallica, che poi si deposita uniformemente sul reperto, evidenziando le impronte. Un sistema recente fa uso della luce laser. Può essere applicata su maniglie, cassettiere, in ambiente sicuro (privo per esempio di specchi) e usando occhiali adeguati. Il reperto prima dell’indagine laser viene trattato con ninidrina, che serve a evidenziare la luminescenza.