Una volta imparato a orientarsi nello studio di registrazione (vedi la parte parte dello speciale), è il momento di approfondire le fasi della lavorazione di un album.
Qui si parla della produzione, che di fatto consiste nel dare forma al materiale sonoro creato dagli artisti. Chi si assume questo difficile e fondamentale compito è il produttore.
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Brian Eno, ama definirsi: "musicista non musicista", uno dei producer più importanti della storia del rock. Scopri quali sono gli altri. |
Una volta imparato a orientarsi nello studio di registrazione (prima parte), approfondiamo ora la produzione, che di fatto consiste nel dare forma al materiale sonoro creato dagli artisti. Chi si assume questo difficile e fondamentale compito è il produttore.
Il produttore
A cosa serve un produttore? Un aneddoto dovrebbe illuminare. In uno special Tv della Cbs Quincy Jones ricorda che quando gli affidarono il materiale di "Thriller" di Michael Jackson appena registrato, si mise le mani nei capelli: «Il sound era assolutamente sbrindellato, una cosa inascoltabile!».
Nel dicembre 1982, dopo un duro lavoro in studio, l'album uscì e divenne il più venduto della storia.
Secondo il verbo di Brian Eno (su Good Vibrations – A history of record production), uno dei producer più importanti della storia del rock, «il produttore è qualcuno che media tra il musicista, che è un non-tecnico, e il fonico, che è un non-artistico».
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Un compito facile? Non la pensa certo così Dr. Dre, il re delle produzioni hip hop che sta dietro i successi di Eminem, in un'intervista a Scratch del maggio 2004: «Certi artisti pensano che io abbia la bacchetta magica e in un'ora gli crei un successo, ma non è così… Sono arrivato a passare 79 ore consecutive chiuso in studio a lavorare. Ci vuole lo stesso impegno anche da parte loro».
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William Orbit ex produttore di Madonna. |
«Un produttore bravo ritaglia le caratteristiche di un disco intorno a quelle di un'artista – afferma Mauro Pagani – amplificandone i pregi e difendendolo dai propri difetti».
Se un producer è davvero in gamba, può diventare l'unica vera ragione del successo di certi artisti. Madonna è da oltre 20 anni sulla cresta dell'onda grazie al suo fiuto per i produttori: dal suo scopritore Mark Kamins all'ultimo, Stuart Price, passando per Jellybean Benitez, Niles Rodgers, William Orbit e Mirwais, che lei stessa ha definito «Un genio».
Cristian Bugatti, in arte Bugo, giovane emergente del rock italiano d'autore, ha cominciato con un 4 piste casalingo per arrivare a pubblicare quest'anno l'ultimo disco, «Sguardo contemporaneo» per la Universal sotto la supervisione di Giorgio Canali; lui sa bene cosa significhi avere un produttore "serio" alle spalle: «Può arrivare a dare il 100% della qualità di un disco. Io ho sempre molte idee, perciò mi serve una persona che mi faccia da 'specchio' e traduca le idee in musica».
Diversi musicisti rimangono affezionati a un produttore, che diventa quasi parte del progetto artistico: l'influenza di Nigel Godrich sulla musica dei Radiohead è talmente profonda che viene definito «il sesto componente della band»; ma anche Beck non fa un passo senza di lui.
Un buon produttore dev'essere quindi anche un buon musicista? Mauro Pagani è convinto di sì: «Anche se molti discografici la pensano diversamente: per loro un buon produttore dovrebbe avere dei gusti molti vicini a quelli della massa. Io, comunque, potendo già esprimermi come musicista con i miei dischi, tendo a non influenzare l'artista con i miei gusti».
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Come un regista
Ecco come si definisce Corrado Rustici, artefice dei successi di Zucchero ed Elisa: «Sono più vicino a un tipo di produttore alla George Martin, una figura in grado di dare un'impronta sonora al progetto». Ed è proprio quello che ha fatto recentemente con i Negramaro: «Mi proposero di lavorare con loro e di riarrangiare quattro brani che avevano già registrato. Il mio aiuto è stato importante soprattutto nel far loro capire quale mossa fare, e così li ho indirizzati verso un sound più veloce e spinto».
Anche Godrich la pensa così: «Il primo vero passo da fare è quello di rompere gli schemi, inventare nuove regole. Un artista deve esprimere sistematicamente delle idee nuove, altrimenti balbetta, farnetica». Chi non rispetta questa prassi rischia brutte conseguenze: il leggendario e scorbutico Phil Spector decise di sua iniziativa di scalzare la supervisione dei Beatles sul loro materiale e aggiungere cori celestiali e un'orchestra da 50 elementi in due brani dell'album "Let It Be" (1970). McCartney si infuriò e c'è chi dice che questo fu uno dei motivi del suo abbandono e del successivo scioglimento della band.
Mauro Pagani paragona il ruolo del produttore a quello del regista cinematografico: «Il produttore artistico è l'equivalente del regista di un film, il cantante è l'attore e il fonico è il direttore della fotografia. Un disco risente di tutte le variazioni contenutistiche ed estetiche di cui risente un film». Un work in progress in altre parole, ma non privo di una forte idea di fondo: «Prima di registrare – prosegue Pagani – è fondamentale porsi quattro domande: cosa dico, a chi lo dico, dove lo dico e come lo dico. La somma delle risposte determina il 90% delle scelte di arrangiamento».
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Cristian Bugatti in arte Bugo giovane emergente del rock italiano. |
«Un tempo – spiega Claudio Gabbiani - c'erano il produttore artistico, il creativo, e il produttore esecutivo, responsabile del budget, oggi le due figure sono più mescolate».
Nella storia della musica moderna la figura del produttore ha infatti conosciuto una notevole evoluzione e innumerevoli declinazioni. Virgil Moorefield, nel suo libro The producer as composer, sostiene che a partire dagli anni '60 l'esecuzione dal vivo e la registrazione in studio si sono distinte in maniera netta: il produttore ebbe così la possibilità di intervenire per creare suoni ed arrangiamenti e vide il suo ruolo crescere e svilupparsi in più direzioni.
Il futuro del produttore? Incerto secondo Brian Eno, anzi declinante: «Negli ultimi 15 anni i musicisti hanno preso dimestichezza con gli strumenti di produzione e la vecchia figura del producer è morta. Oggi sono i musicisti a occupare tutti e tre i ruoli».
Forse Eno esagera e in realtà oggi il ruolo del produttore è più saldo che mai, ma le nuove tecnologie stanno effettivamente cambiando le carte in tavola. Un esempio italiano è Bugo, che ci rivela: «Mi occupo tantissimo della parte produttiva. Nel tempo ho maturato delle competenze e ormai con un PC si possono buttare giù le prime idee in modo già abbastanza definito. Il musicista del 2000 è anche fonico di se stesso». Gianni Sibilla, giornalista e docente in Teoria e Tecnica dei Nuovi Media all'Università Cattolica, sostiene che «le tecnologie democratizzano la produzione: un disco si può fare anche in casa. Al tempo stesso però la sprofessionalizzano, perché chiunque può registrare un disco anche senza talento e competenze specifiche». I due lati della medaglia.
Il lavoro del produttore non basta a fare un disco. Ora entrano in campo altre tre figure fondamentali, che portano avanti le fasi della lavorazione in studio: il fonico, l'addetto al mixer e il master engineer. Scopriremo i loro segreti nella prossima puntata.
Martino De Mori, Filippo Ferrari e Giacomo Freri - Sagoma