Non basta l'artista, non basta l'ispirazione: la musica che ascoltiamo è frutto di un lavoro collettivo complesso e sfuggente. Nasce in posti pensati ad hoc, segue un iter preciso, viene curata e coccolata da figure professionali a metà tra il tecnico e lo sciamano. Scopriamo quali sono i luoghi, le persone e i processi che portano un disco dalla mente dell'artista al nostro orecchio.
L'interno di uno studio di registrazione. I pannelli sulle pareti evitano la formazione di echi e riverberi. Un glossario di tutti gli strumenti che si trovano in sala di registrazione lo trovi nell'ultima pagina di questo speciale. |
Viaggio a puntate
Inizia qui, con la prima parte dedicata allo studio di registrazione, l'inchiesta di Focus sui meccanismi che stanno dietro un disco. La seconda parte parlerà della delicata fase della produzione; la terza di altri tre aspetti che conducono alla finalizzazione di un Cd: sound engineering, mixing e mastering. In seguito esploreremo i segreti e le strategie che animano il marketing musicale e della musica digitale.
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Forse i Beatles non sarebbero oggi ricordati come il più grande gruppo pop della storia se non avessero incontrato lungo il loro cammino George Martin. Fu proprio il produttore a plasmare il loro sound e a renderlo così brillante, accattivante, universale. E a proporre sempre nuove sfide ai 4 di Liverpool in modo che ogni nuovo album fosse molto diverso rispetto al precedente, e sempre un passo avanti. A volte sono gli artisti, obnubilati solo dalle loro idee fisse, a 'limitare' la creatività dei tecnici: la resa sonora di "Nevermind" (1991), pietra miliare del grunge, ai Nirvana non piaceva proprio; furono il produttore Butch Vig e il professionista del mixer Andy Wallace a imporsi e a sfornare un disco ruvido ma radiofonico, che cambierà radicalmente i connotati al rock anni Novanta.
Operai dietro le quinte
Insomma, la creatività è l'ingrediente chiave della musica, ma senza qualcuno che la sappia gestire, rifinire e valorizzare, rischia di andare sprecata. Il bello è che dopo decenni di storia, le tecniche e le "regole" che si sono stratificate non sono mai assolute e intoccabili, ma sempre aperte alla sperimentazione, al rinnovamento, alla creatività. Un gran disco può venire registrato in soli 17 giorni, come "Ramones" dei Ramones (1976), al ritmo di una canzone al giorno e con soli 6.400 dollari (tanto quanto il budget di un rock-party dell'epoca). Ma può anche andare per le lunghe: per "Born To Run" (1975) Bruce Springsteen e la E Street Band impiegarono tre mesi solo per incidere la title track. E la storia del making of musicale dunque non può che essere costituita di tante storie esemplari, di professionisti-pionieri e di aneddoti illuminanti.
L'entrata degli Abbey Road Studios di Londra. Fondati nel 1931, divennero famosi grazie ai Beatles. Oggi sono gli studi di registrazione più richiesti dalle star mondiali. |
Pareti insonorizzate, strumenti da migliaia di euro e tecnologie sofisticatissime? Sì, quelle spesso ci sono, ma non sono il tratto distintivo di uno studio di registrazione. «Dopo gli anni Sessanta – scrive Brian Eno nella prefazione a Good vibrations – A history of record production – la gente cominciò a vedere lo studio come un labirinto di possibilità e iniziò a sperimentare». Gli studi di registrazione sono tutt'altro che luoghi asettici e spersonalizzati; al contrario, ognuno ha una sua storia, caratteristiche specifiche e mura che trasudano delle musiche che lì sono state inventate.
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Molti puzzano di fumo, altri sono bui e angusti, altri stanno in case di campagna tra gatti e ceste di vimini. La magia è tutto in uno studio, e la perfezione è il contrario della magia: lo sostiene Mauro Pagani (ex PFM, autore solista e produttore di fama, che ha lavorato con Fabrizio De André al capolavoro "Creuza De Mä"), che a Milano ha fondato le Officine Meccaniche: «Avere uno studio proprio è come possedere una bottega artigiana: ogni lavoro che si fa si sedimenta per il futuro».
I mitici Abbey Road Studios bestlesiani agli inizi non erano per nulla mitici, lo diventarono nel tempo, e grazie proprio alla perenne insoddisfazione degli "scarafaggi", che dai tecnici non accettavano mai come risposta «Non si può fare»: tra il 1963 e il 1967, a furia di prove, sperimentazioni, forzature, invenzioni, e con la supervisione di George Martin, gli studi divennero "IL" luogo della creatività musicale, sancirono il matrimonio tra classica e pop (con "Yesterday") e segnarono la storia della registrazione.
Luoghi magici
«Appena può un produttore si crea un proprio studio di registrazione», afferma ancora Mauro Pagani. Così ha fatto anche Rick Rubin, uno dei più influenti producer planetari degli ultimi 20 anni, che ha acquistato una splendida villa d'inizio secolo a Laurel Canyon, sulle colline di Los Angeles, e l'ha trasformata nella sua abitazione-studio: tra le sue mura hanno preso forma album come "Blood Sugar Sex Magik" dei Red Hot Chili Peppers e "Out Of Exile" degli Audioslave. A detta di Anthony Kiedis (voce dei RHCP) e degli altri artisti, l'atmosfera creativa e il sound che ne è scaturito in quei giorni del 1980 non sarebbero stati riproducibili altrove, anche perché i musicisti, che vivevano nella casa, riuscirono ad armonizzare i loro stili di vita e a sperimentare continuamente nuove soluzioni sonore.
La tecnologia ipersofisticata non è tutto, l'importante è che gli artisti si trovino a proprio agio: nel 1996 i Radiohead sentivano l'esigenza di creare muovendosi liberamente e allestirono uno studio mobile nella Canned Applause, un capanno per la raccolta delle mele; aveva solo un grande banco mixing, un registratore da 2 pollici e due massicci scaffali mobili con tutto il resto dell'equipaggiamento, ma il sound che ne uscì, in parte registrato anche nelle sale del maniero quattrocentesco dell'attrice Jane Saymour, strabiliò il mondo: era il grande successo di "Ok Computer".
Non è una pratica solo degli ultimi anni: già nel 1956, per l'hit "Heartbreak Hotel" di Elvis Presley, Steve Sholes invece che utilizzare in studio il solito effetto delay (che crea una sorta di eco), portò Elvis a registrare in una chiesa sconsacrata di Nashville, ottenendo in maniera naturale un sound cavernoso, come se fosse stato inciso in una casa desolata e infestata dai fantasmi.
E il catacombale Trent Reznor dei Nine Inch Nails dove poteva registrare "The Downward Spiral" (1994) se non nella villa di Beverly Hills in cui nel 1969 Charles Manson e seguaci compirono la famigerata strage dell'"Helter Skelter"?
Moby in sala di registrazione. L'artista newyorkese ha iniziato la sua cariera come Dj e produttore di altri musicisti. |
Se dovete incidere un album di hip hop, non pensate nemmeno per un istante di andare agli spaziali Real World Studios di Peter Gabriel a Box nella campagna inglese dello Wiltshire, prenotate piuttosto delle session ai Chung King Studios di New York (detti "gli Abbey Road del rap"), dove, sotto lo sguardo di John King, registrano i Beastie Boys, Nas e Lauryn Hill. E se volete sfondare con un gruppo heavy metal è meglio che vi inoltriate nella campagna del Derbyshire, dove stanno i Backstage Recording Studio, in una fattoria del XVI secolo riadattata dal producer Andy Sneap: qui hanno registrato Opeth, Testament, Nevermore, Trivium, Kreator e molti altri gruppi chiave del metal degli ultimi 20 anni.
Naturalmente esistono ancora grossi studios in cui si produce di tutto (specie gli artisti mainstream), come gli Ocean Way di Hollywood (AC/DC, Paula Abdul, Bon Jovi, B.B. King, R. Kelly, R.E.M.) o gli Air Studios di Londra (Robbie Williams, Black Eyed Peas, U2, George Michael), ma la tendenza è la specializzazione.
Lo ribadisce Claudio Gabbiani, musicista, produttore e insegnante presso il Master in Comunicazione Musicale per la Discografia e i media dell'Università Cattolica di Milano: «Esiste ormai una tale specificità dei generi musicali per cui in studio ci devono essere gli strumenti, i microfoni e i software in grado di dare quel sound che l'artista sta cercando».
I Muse, per una canzone del loro ultimo disco (City of Delusion), erano alla ricerca di un arrangiamento particolare, con archi dal sapore mediorientale, e così sono andati a registrarli proprio alle Officine Meccaniche, convinti che solo lì avrebbero trovato quello che cercavano.
Ma come si lavora in uno studio di registrazione? Una volta creata una canzone, entrano in campo alcune figure professionali dalle competenze diverse e complesse, che sovrintendono a precise fasi della lavorazione.
La prima è quella della produzione, gestita dal producer, che vi racconteremo nella prossima puntata.
(Nella PAGINA SEGUENTE trovate invece una breve spiegazione degli strumenti tecnici di una sala di registrazione)
Martino De Mori, Filippo Ferrari e Giacomo Freri - Sagoma
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Glossario da studio Amplificatore: dispositivo che aumenta il segnale proveniente da una fonte esterna. Il suono viene misurato in guadagno G (gain). Attenuatore: serve a rifinire il Guadagno del suono. Baffle: schermi d'isolamento che separano gli strumenti che suonano insieme in studio. Camera dell'eco: stanza dalle superfici riflettenti dove il suono viene diffuso da uno o più speaker, raccolto da uno o più microfoni e inviato nelle sala di regia. Oggi gli effetti digitali la rendono di fatto obsoleta. Click track: costituita da un box ritmico o da una drum machine, per mantenere perfetto il tempo. Convertitore A/D: converte il segnale da analogico a digitale. il convertitore D/A fa l'operazione opposta. Editing: tramite software, l'accostamento di diverse linee registrate dello stesso strumento per ottenere la migliore versione possibile della traccia. Effetti: nella fase di mixing vengono aggiunti per arricchire e dare sfumature al suono. I più utilizzati: Equalizzatore - regola gli alti e i bassi di una canzone, proprio come in un impianto hi-fi. Echo - aggiunge uno o più segnali ritardati al suono originale. Produce il cosiddetto riverbero. Fade out: abbassamento del volume di un brano, di solito si usa per il finale di una canzone Fade in: innalzamento del volume, spesso usato all'inizio del brano. Flanger - un eco con minor ritardo che dà un effetto di fuori fase al suono originale. Chorus - metà strada tra l'echo e il flanger. Aggiunge un breve segnale di ritardo. Fuzz box: pedale per la distorsione, spesso utilizzato dai chitarristi. Hard disk: conserva i dati della registrazione digitale. IPS: Inch Per Second, la misura della velocità di registrazione, in pollici. Leslie speaker: altoparlante utilizzato dagli organisti per creare effetti. Microfono: trasforma il suono da acustico in elettrico. Non esiste una buona registrazione senza una buona microfonatura, che dipende sia dalla qualità dei microfoni che dal loro posizionamento. Mixing console: il cuore dello studio, dove viene convogliato il materiale registrato per la rifinitura dei toni e volumi. Overdubbing: l'aggiunta di nuove registrazioni (anche dello stesso strumento) sovrapposte a tracce già esistenti per arricchire il panorama sonoro. Potenziometro: controller dei livelli variabili. Pro Tools: la workstation audio digitale che è diventata lo standard dell'audio professionale. Ha sostituito il registratore e il banco del mixer vecchia maniera mandando in soffitta i nastri analogici. Registrazione multitraccia: principio base della registrazione musicale moderna grazie al quale i musicisti non sono obbligati a suonare contemporaneamente. Oggi, con il digitale, è possibile avere un numero pressoché illimitato di tracce. Sala di regia: zona insonorizzata rispetto alla sala di ripresa, dove rimangono il produttore, i fonici e i discografici. È attrezzata con casse per ascoltare la performance, un registratore e un mixer (o, in sostituzione, Pro Tools), e i dispositivi per gli effetti. Sala di ripresa: la zona dello studio riservata ai musicisti. In base al tipo d'insonorizzazione e ai materiali delle pareti può produrre sonorità differenti. Sampler: strumento digitale (in genere una tastiera) per l'immagazzinamento, la manipolazione e il replay dei suoni. Sequencer: unità hardware programmata per ripetere una serie di note musicali. VU Meter: Volume Unit Meter, ago che indica la scala dei volumi. |