Tre morti e almeno 141 feriti: questo il bilancio provvisorio dell'attentato di matrice ancora dubbia che ha seminato ieri il panico alla maratona di Boston. Polizia e FBI sono al lavoro per ricostruire le dinamiche delle due esplosioni a poche centinaia di metri dal traguardo (più una terza nella vicina biblioteca John Fitzgerald Kennedy, dovuta probabilmente a un incendio) dovute a ordigni attivati a distanza, forse con un cellulare.
Ma come si fa in casi come questo a misurare la carica devastante delle bombe?
Innanzitutto, accertando i danni subiti dagli edifici. La prima esplosione ha mandato in frantumi i vetri di quattro edifici vicini alla linea del traguardo. Ma bisogna osservare anche gli effetti su pareti, macchine, vetrine e, purtroppo, vittime umane.
Per esempio, una bomba confezionata con 7 chili di dinamite fatta detonare in uno spazio aperto potrebbe incrinare un muro di mattoni a 13,5 metri di distanza, e danneggiare pareti di gesso e strutture in amianto nel raggio di 35 metri. Tutte le vetrate singole a meno di 64 metri di distanza si sbriciolerebbero e per quanto riguarda l'uomo, chiunque si trovasse nel raggio di 12 metri dall'ordigno perderebbe l'udito per la perforazione dei timpani o morirebbe, se stazionasse a 3,5 metri o meno (almeno 10 dei feriti hanno subito amputazioni degli arti inferiori).
Inoltre, le squadre anti-bomba della polizia sono sempre dotate di rivelatori di ioni, dispositivi non troppo dissimili da trapani senza filo che "fiutano" l'aria individuando tracce di esplosivo ancora presenti sulla scena del crimine. Prima entrano in funzione meglio è: in alcuni casi le sostanze chimiche rilasciate dall'esplosione non sono particolarmente volatili e quindi non lasciano troppe tracce nell'aria (o se le lasciano, non rimangono a lungo). Appena i rivelatori le trovano, una lucina rossa indica la loro presenza nel campione d'aria prelevato: analizzandoli, si possono carpire indizi sul tipo di bomba utilizzato.
Il colore della fumata indica in genere il tipo di esplosivo utilizzato e il modo in cui sta bruciando. Una combustione più calda convertirà più combustibile in carbonio elementare, che tenderà ad assorbire la luce ed apparire come fumo scuro; mentre una combustione più fredda o che non ha funzionato come previsto tende a rilasciare carbonio più impuro, che riflette la luce e appare sotto forma di fumo più chiaro. La presenza d'acqua nell'aria tende a schiarire il fumo, così come la combustione del legno, mentre gli olii, la plastica e il petrolio tenderanno a produrre un fumo denso e scuro.
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