Il rivestimento antiaderente che viene applicato su padelle e tegami, inventato 25 anni fa, è un composto a base di fluoro. Per questo impiego (ma non è l’unico), ne vengono commercializzati tipi di qualità differente: quanto più è alto il numero di strati che rivestono il metallo e il loro spessore, tanto più il tegame è resistente all’uso, di maggior durata, più liscio, e più facilmente pulibile. All’origine il Teflon è una polvere bianca e leggera che galleggia sull’ acqua, non può essere sciolta da nessun solvente, è resistentissima a ogni sostanza chimica ed è inodore. Non conduce l’elettricità, non è infiammabile e resiste a un calore di 300 gradi centigradi. Per queste sue caratteristiche viene utilizzato, oltre che per rivestire le pentole, per fare filtri, guarnizioni, premistoppa, valvole e protezioni anticorrosive o antiadesive. Chimicamente è un polimero (vale a dire una lunga molecola composta da unità che si ripetono) che si chiama politertrafluoroetilene, formato da “mattoni” che contengono due atomi di carbonio e quattro di fluoro. È proprio questo elemento a fornirgli la proprietà di essere inerte e inattaccabile. Qualora la pentola sia però notevolmente rigata, conviene comunque sostituirla perché la sua antiaderenza è meno efficace e perché potrebbero staccarsi pezzetti di una certa consistenza. L’eventuale danno alla salute non sarebbe comunque causato dalla pellicola antiaderente, ma piuttosto dall’alluminio sottostante. A volte, infatti, (soprattutto nelle pentole di scarsa qualità), il materiale sottostante non ha i requisiti idonei al contatto con gli alimenti. Recentemente è stato studiato un nuovo impiego del Teflon: viene applicato sui tessuti da abbigliamento, da campeggio, da arredamento. Le fibre impregnate di particelle di Teflon diventano infatti completamente impermeabili e resistono all’usura e alle macchie.