Ho volato con un catamarano sul pelo dell’acqua a una velocità pazzesca. Ed è stato bellissimo. Un’esperienza indimenticabile per chi come me ama lo sport e la tecnologia: adrenalina e fibra di carbonio, velocità e profili alari.
Pochi giorni fa, a Palma di Maiorca, si è svolta la 36ma edizione della Copa del Rey, la più importante competizione velica spagnola. Nel programma è compresa una tappa del GC32 Racing Tour, circuito di regate della classe GC32: sono, questi, catamarani lunghi 32 piedi (circa 10 metri), dotati di appendici alari chiamate foil che permettono alle barche di sollevarsi completamente dall’acqua e di veleggiare sopra il mare, raggiungendo velocità di quasi 40 nodi.
40 nodi sono circa 73 km/h: velocità clamorosa in mare, se pensate che un traghetto generalmente viaggia tra i 16 e i 20 nodi, una nave da crociera a 22 e alcuni traghetti moderni attorno ai 30.
Ospiti francesi. Tra le barche in gara c’era il catamarano francese ENGIE: il suo skipper, Sébastien Rogues, ci ha permesso di salire a bordo durante una prova. Uniche regole: stare fermi in una minuscola zona a prua, non muoversi quando la barca cambia bordo, non toccare nulla, non provare ad aiutare. Insomma, fare "il pacco". O, se preferite, lo spettatore.
Dopo un briefing in cui mi hanno spiegato come comportarmi e che cosa fare in caso di incidente (nuotare lontano dalla barca e chiedere aiuto), l’organizzazione mi ha equipaggiato di casco e di un giubbotto salvagente pieno di protezioni, come quelle delle tute di un motociclista. Sono le stesse che usano i cinque membri dell’equipaggio.
Volare su un catamarano, infatti, può essere pericoloso: le velocità sono notevoli, la stabilità della barca è precaria, la possibilità di impennarsi o scuffiare sempre dietro l’angolo.
A bordo, mi sono sistemato nel mio cantuccio di 1 metro per 1 e l'avventura è iniziata. Mentre l’equipaggio faceva volare ENGIE fuori dall’acqua, anche il tempo ha iniziato a volare e 15 minuti mi sono sembrati appena un paio.
Volare. Dopo poche centinaia di metri dalla partenza della regata la barca si è sollevata sui foil e tutti e i due gli scafi sono usciti dall’acqua (guarda il video).
Gli scossoni e la resistenza dell'acqua sono scomparsi, e così anche il rumore della navigazione. Siamo rimasti accompagnati solo dal sibilo metallico causato dalla vibrazione della fibra di carbonio di cui sono fatti i foil. Una sensazione inaspettata (vedi e ascolta video più in basso).
La barca ha iniziato ad acquistare velocità, scarrocciando a destra e a sinistra, impennandosi e cabrando in un "equilibrio" assolutamente instabile.
Il vento sufficientemente forte ha permesso allo skipper di “volare” (anzi, foilare) a lungo. Ma nell'istante in cui il catamarano è tornato al livello del mare e uno dei due scafi è rientrato in acqua, il contraccolpo è stato fortissimo e mi sono ritrovato completamente bagnato dagli schizzi delle onde.
Il video 360 (la notizia continua sotto il video)
Dopo la regata ho chiesto a Sébastien Rogues se si sente più un pilota di Formula 1 per le velocità che raggiunge o un pilota d’aereo per il fatto che la sua barca vola.
«Entrambe le cose», ammette Rogues, «ma la verità è che il ruolo dello skipper è più simile a quello di un direttore d’orchestra. Il mio equipaggio sa che cosa fare, abbiamo fatto tutte le prove e gli allenamenti necessari. Siamo sincronizzati come un orologio svizzero».
Il funzionamento dei foil. Come fa una barca a vela navigare staccata dal pelo dell’acqua? In realtà non può, tanto è vero che il timone e le appendici mobili (i foil) rimangono in acqua. Ma lo scafo, che è la parte che crea maggiore attrito, rimane sospeso fuori dall’acqua.
Il merito di quella che sembra una magia, ma è scienza, è appunto dei foil, le appendici idrodinamiche che terminano a forma di J (o di L o anche di T rovesciata) e che si trovano circa a metà degli scafi del catamarani.
Hanno un profilo simile alle ali degli aerei (vengono infatti anche chiamate appendici alari) e proprio come queste, quando la barca raggiunge una certa velocità, creano portanza e producono una forza sufficiente a sollevare lo scafo.
Il risultato è che navigando in foiling (come si dice in gergo) le barche raggiungono velocità impressionanti: un alettone di pochi centimetri quadrati di superficie offre infatti poca resistenza all’avanzamento di uno scafo.
«I catamarani di classe GC32 raggiungono quasi 40 nodi di velocità: oggi il record è di 39,2 nodi, pari a 72,6 km/h. In genere questi catamarani riescono a correre a una velocità 2 o 3 volte superiore a quella del vento», spiega Cristian Scherrer, l'organizzatore della GC32 Racing Tour.
Origini lontane. L’idea dei foil però non è nuova: gli aliscafi sfruttano lo stesso principio della portanza e furono inventati dall'aviatore e ingegnere italiano Enrico Forlanini nel 1910. Ironia della sorte, Forlanini utilizzava i suoi idroplani, come aveva chiamato i primi aliscafi, proprio per addestrare i piloti aeronautici che, pilotando queste barche volanti, acquistavano la sensibilità e il senso dell'equilibrio necessari per pilotare aerei.
Se gli aliscafi a motore esistono da decenni, le barche a vela dotate di foil sono più recenti.
I nuovi materiali (soprattutto il carbonio), più leggeri e più rigidi di legno, alluminio e vetroresina, permettono di realizzare barche a vela abbastanza potenti e leggere da poter essere sollevate solo con la forza del vento.
Le prime barche a navigare sospese, paradossalmente, sono state le più vecchie (almeno come nascita della classe velica): gli International Moth, derive lunghe 3,40 metri costantemente evolute nelle forme e nei materiali che nel 2001 hanno aggiunto i foil.
Poi, nel 2013, sono apparsi i catamarani, quelli dell'America's Cup, i più noti anche ai non appassionati, e altre classi. Tra queste i catamarani GC32 su cui siamo saliti.