Le rivelazioni della sua Wikileaks hanno scosso l'opinione pubbica mondiale e le diplomazie di tutti i Paesi, prima fra tutte quella statunitense, e continueranno a farlo nelle prossime settimane mano a mano che i giornalisti proseguiranno gli scavi nei meandri dei database colmi di informazioni segrete e spesso alquanto scomode.
Pericolosa appropriazione indebita? Lotta sacrosanta in nome della libera informazione? Ciascuno ha la propria opinione, anche il sottoscritto, ma non possiamo certo fare a meno di riconoscere insieme che Julian Assange, nell'arco di poche settimane, sia divenuto uno degli uomini più influenti di questo 2010. Non solo per l'aver permesso ai cittadini di venire a conoscenza di fatti sottaciuti dagli organi di sicurezza, ponendo così una pietra miliare che sancisce ancora una volta la resistenza del mondo occidentale alla censura online, pratica ormai molto comune più ad Est, ma anche perché propone un modo nuovo di fare del buon giornalismo su base sovranazionale tramite la Rete, strumento e non vincolo per la libera espressione.
E poco importa se PayPal, Amazon e altre compagnie abbiano chiuso gli account di Wikileaks sotto la pressione del governo americano, poiché l'emorragia di informazioni "secretate" ha già invaso il Web in modo capillare ed esse sono alla portata di tutti. I continui attacchi DoS al dominio Wikileaks.org, tuttora non raggiungibile, non fanno altro che confermare la visione ottusa tipica di coloro che immaginano di poter tamponare la falla in una gigantesca diga usando il dito mignolo.
Sorge spontanea una domanda: con che autorità alcune frange governative si possono arrogare il potere di calpestare queste parole, contenute nel I emendamento della Costituzione degli Stati Uniti?
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