Quindici anni fa, tra i più giovani dilagò la moda del cucciolo virtuale da portare sempre con sé, sotto forma di un colorato portachiavi ovoidale: si trattava del Tamagotchi, il videogioco giapponese che tante polemiche - e tanti cloni - suscitò. Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e quei bambini sono diventati ormai uomini adulti, ma come reagirebbero questi se venisse commercializzato un software compatibile con i loro PC, in grado di ricreare una vera e propria intelligenza artificiale?L’idea è indubbiamente geniale e non poteva venire ad altri che allo sviluppatore di Creatures, Steve Grand, il quale ora vuole riprovarci con Grandroids. Il gioco - se così può essere definito - è molto ambizioso, perché non aspira semplicemente a proporre un complesso sistema di risposte che simuli il comportamento di un’autentica forma di vita, ma bensì vuole generare una nuova creatura virtuale autonoma, contraddistinta dalle proprie peculiarità biologiche e psicologiche: non un semplice Tamagotchi, quindi, e neppure l’ennesima “scopiazzatura” di The Sims, quanto piuttosto una sorta di Dren - la protagonista del film “Splice” - fatta di bit e texture. Riassumendo brevemente, in Grandroids ci troveremo alle prese con un esemplare di una specie aliena piombata all’improvviso sul nostro pianeta che, con il passare del tempo, crescerà, si evolverà, apprenderà, si ammalerà, penserà, si esprimerà ed interagirà con noi. Per rendere l’esperienza ancor più realistica, la grafica sarà tridimensionale e molto dettagliata e, per coinvolgere il pubblico più ampio possibile, il software funzionerà con quasi tutti i sistemi operativi esistenti, da Android a Windows, daMac OsX alla Wii, daiOS all’Xbox 360. Grandsembra credere ciecamente nel suo progetto, a cui attribuisce la stessa validità di un esperimento scientifico, ma per poterlo portar a termine nell’arco dei prossimi 12 mesi ha bisogno dell’aiuto economico del suo pubblico, perché non è ancora riuscito a trovare una casa di distribuzione altrettanto ottimista al riguardo e rischia letteralmente di morire di fame.E fortuna che si parla della necessità d’innovazioni e di ricambio generazionale nel settore videoludico, mentre progetti come questo languono perché nessuno li sostiene e software house di culto, come l’Amanita Design di Machinarium, sono costrette ad una gestione quasi familiare per poter pubblicare i propri capolavori. Tutta colpa della pirateria, come crede Sony? Non ne siamo così certi: a nostro avviso, basterebbe probabilmente riscoprire il fascino dell’ignoto e, di tanto in tanto, correre qualche rischio perché dopo tutto “chi non risica non rosica”.