Si fa un gran parlare di mondo post-PC, di editoria virtuale e della moda dilagante dei tablet PC: sotto tutti questi punti di vista, Apple è sempre stata pionieristica, prova ne è l’apertura dei servizi in abbonamento attraverso le applicazioni scaricabili dall’App Store, avvenuta lo scorso febbraio. Va ricordato che alla casa della mela sta particolarmente a cuore assicurarsi della qualità dei contenuti installati nei suoi dispositivi: per questo, non ha mai consentito agli editori di inserire all’interno delle apps link che rimandino ad altri servizi esterni a pagamento. Inoltre, Apple ha posto da subito alcuni vincoli economici, che da un lato mirano a garantire la competitività dei servizi offerti, imponendo prezzi inferiori a quelli che verrebbero altrimenti offerti al di fuori della loro piattaforma, e dall’altro tutelano i propri margini di profitto, richiedendo un diritto fisso del 30% su ogni contenuto scaricato. Certo non si tratta di regole all’insegna della trasparenza, tant’è che l’autorità Antitrust della Comunità Europea ha indagato a lungo - ed inutilmente - su eventuali infrazioni ed irregolarità.
Grazie, però, alla concorrenza sempre più agguerrita di Android, che offre a sua volta un market più aperto e meno invadente, ed alle ambizioni economiche delle case editrici, Jobs e soci sono dovuti tornare sui loro passi ed hanno modificato le linee guida dell’App Store: adesso verrà consentito agli editori di aggirare queste limitazioni, con abbonamenti attivabili direttamente dai loro siti web, a patto che non vengano inseriti riferimenti al download nelle apps; in più, i server di Cupertino dovranno trasmettere agli stessi i dati personali di tutti gli utenti paganti, in modo tale da poterli contattare più facilmente. Il Financial Times, quotidiano che da tempo ha deciso d’accantonare il supporto cartaceo per poi scontrarsi con i limiti di quello virtuale, plaude all’inaspettata scelta di Apple, che in verità non è nuova a ripensamenti che rasentano il clamoroso: basti pensare, ad esempio, all’inflessibile censura che inizialmente colpì Google Voice oppure tutte quelle applicazioni sviluppate in Flash e poi convertite per iOS.
Ad un primo sguardo, la decisione sembrerebbe penalizzare soltanto il marchio della mela, ma a ben guardare non è affatto così, perché questo piccolo sacrificio servirà per rilanciare l’intero App Store, che darà nuova linfa al mercato dei vari iPhone ed iPad: insomma, Apple è come la proprietà commutativa in matematica, cambiando l’ordine dei termini il risultato non varia, ed ogni volta è un successo.
(gt)