Quando Irina Levandovskaia, giudice federale della Repubblica di Buriaza, Siberia, ha postato sulla propria pagina di V Kontakti - la versione russa di Facebook - alcune foto che la ritraevano intenta a leccare una bottiglia di vodka, forse non immaginava che quegli scatti sarebbero un giorno finiti sotto agli occhi dei suoi colleghi. I quali, scandalizzati o forse con la coda di paglia, hanno "fatto la spia" al consiglio nazionale dei giudici, facendo decidere per il licenziamento in tronco della 30enne.
Una pensata ancora più incauta è venuta a quattro studentesse di ostetricia di un'università del Kansas, che durante una giornata di praticantato in ospedale si sono fatte fotografare con in mano la placenta di una paziente, per poi postare il tutto sul proprio profilo online. Immediatamente espulse dal college, le future infermiere sono state poi riammesse per ordine del giudice distrettuale. Ma le tracce di questa bravata rimarranno a lungo in Rete: digitando su Google il nome di una di loro, la prima pagina di risultati include solamente link contenenti la parola "placenta".
Senza più segreti. Anche se l'utente medio è in genere più prudente, la tentazione di "raccontare" online le parti più compromettenti della nostra vita può presentarsi spesso. I soli fruitori di Facebook - quasi 500 milioni, il 22% della popolazione mondiale connessa - postano complessivamente 25 miliardi di contenuti al mese (in media 70 post a testa tra link, foto e commenti). Molti di questi contengono riferimenti a vicende strettamente personali, tanto che l'anno scorso l'Unione Europea ha finanziato una campagna intitolata "Think B4 you post!" ("pensa prima di postare") per invitare le nuove generazioni a valutare le conseguenze di una condivisione di contenuti senza regole.
Tra pari ci s'intende. Per indagare quante informazioni siamo disposti a spartire in Rete, un team di ricercatori degli Hewlett-Packard Laboratories in California ha allestito una finta asta in cui i partecipanti dovevano fare delle offerte per convincere gli altri a svelare un'informazione "spinosa": il proprio peso. Le puntate basse venivano accettate più volentieri se chi le proponeva aveva a prima vista un peso equivalente al proprio. Il che significa, spiegano i ricercatori, che quando pensiamo di trovarci tra simili, siamo più portati a condividere contenuti che normalmente riterremmo privati. «I confini tra le nostre varie identità, come per esempio quella lavorativa e quella che al sabato sera si diverte con gli amici, spariscono online» spiega Alice Marwick del Microsoft Research New England, Cambridge. Con tutte le conseguenze del caso: senza che abbiate il tempo di accorgervene, le foto dell'ultimo imbarazzante travestimento di carnevale potrebbero arrivare sulla scrivania di un potenziale datore di lavoro.
In base a una ricerca recentemente effettuata da Microsoft, il 75% dei datori di lavoro statunitensi sbircia sui social network i profili dei candidati prima di un colloquio di assunzione (mentre in Germania, per esempio, questa consuetudine sarà presto espressamente vietata dalla legge). Il 70% degli intervistati ha inoltre dichiarato di aver scartato un aspirante a causa di informazioni "sconvenienti" trovate online.
Nel novembre 2002, quando ancora Facebook e Youtube non esistevano, il 15enne canadese Ghyslain Raza si videoregistrò per un progetto scolastico mentre simulava i movimenti dei cavalieri Jedi in Star Wars brandendo, al posto della spada laser, una mazza da golf. Qualche mese più tardi il video fu trovato da alcuni suoi compagni di scuola, che lo pubblicarono online.
Nel 2006 fu caricato su Youtube, divenendo in breve uno dei video più visti di sempre (si calcola sia stato visualizzato oltre un miliardo di volte).
I più maligni hanno poi creato versioni con effetti speciali e colonna sonora facendone un vero "cult" citato in South Park e molti altri programmi televisivi.
Lo Star Wars Kid, come è stato soprannominato il ragazzo, è passato attraverso anni di depressione, analisi e cause giudiziarie (concluse per lo più con accordi fuori dai processi).
Oggi che è laureato in legge, e in caso di una nuova diffamazione saprebbe difendersi da solo.
Nascondi la polvere sotto al tappeto. Cosa fare, quindi, se il primo risultato che appare googlandovi è un video che vi vede impegnati in una lotta con la spada laser (a qualcuno è successo davvero: vai al box)? La prima tentazione sarebbe quella di mettere la testa sotto al cuscino e sparire per sempre dal mondo del web. Ma non è questo il modo migliore per salvare la apparenze.
La chiave per ripristinare la propria fama virtuale, spiegano gli addetti ai lavori, è passare molto tempo online, inondando i motori di ricerca con informazioni che vi dipingono come persone professionali e affidabili. Il trucco, insomma, è far leva sulla pigrizia degli utenti. Provate a pensare a quando digitate una qualunque parola chiave su un motore di ricerca: come la maggior parte delle persone, probabilmente non andrete al di là delle prime due-tre pagine di risultati. Caricando in rete contenuti più rilevanti di quelli che vi diffamano, spingerete le pagine indesiderate sempre più in giù nel sistema di indicizzazione. E se non riuscite a cancellare il post o la foto che vi rovinerebbe la carriera, potrete cercare di farla cadere nel dimenticatoio, relegandola alle retrovie dei risultati pescati.
Come ti rispolvero la reputazione. È la tattica utilizzata da compagnie specializzate in servizi di pulizia della "fedina" virtuale come la californiana Reputation.com. Per ripristinare la credibilità di un cliente (piccole imprese ma anche personaggi pubblici e VIP) «si scrive una biografia completa con la storia di quella persona», spiega il fondatore Michael Fertik. Si esplicita cioè il suo curriculum, aggiungendo attività potenzialmente gradite a un datore di lavoro. Il tutto viene quindi pubblicato su network professionali come LinkedIn e linkato a una serie di siti analoghi (la compagnia ne conosce circa 500) per far salire la popolarità di quel risultato nel sistema di indicizzazione ("PageRank") di Google. Il costo del servizio? Si va dagli 8,25 dollari al mese (5,80 euro) per chi desidera solo cancellare le informazioni personali da network o database a 3 mila dollari all’anno (2100 euro circa) per chi deve debellare un contenuto negativo già postato.
So tutto di te... Anche quando non si svelano informazioni personali, qualche impiccione virtuale potrebbe incrociare i dati sparsi in Rete per ricostruire con facilità i nostri gusti e abitudini. Gli esperti lo chiamano "merging social graph", ed è un fenomeno che è stato dimostrato per la prima volta alcuni anni fa. Nel 2006 Netflix, un famoso servizio statunitense di noleggio film online, lanciò un concorso tra gli utenti per migliorare le performance dell’algoritmo di suggerimento titoli. Il database con le preferenze di noleggio di mezzo milione di clienti diventò pubblico (anche se teoricamente anonimo), e confrontando questi dati con alcune recensioni firmate postate su siti come IMDb (internet movie database) alcuni ricercatori dell'Università del Texas dimostrarono, a fini scientifici, come si potessero identificare facilmente generalità, preferenze politiche e sessuali degli utenti partendo dalle loro scelte cinematografiche.
... anche con chi esci! Con un metodo analogo chiunque potrebbe risalire alla nostra rete di amicizie: un recente studio dei ricercatori informatici della Cornell University (USA) ha dimostrato come siano sufficienti appena tre foto scattate da più utenti nella stessa località e nel medesimo arco di tempo per dedurre con buona probabilità che tra questi vi sia un legame di amicizia. La ricerca è stata effettuata analizzando 38 milioni di foto geolocalizzate condivise su Flickr.
Per non rischiare di diventare gli zimbelli della rete, ecco qualche dritta fornitaci da Michael Fertik, fondatore e amministratore delegato di Reputation.com.
1. Abbraccia e comprendi la portata di Internet. Lo usi quotidianamente nella la tua vita sociale e professionale, quindi è importante accettare che influenzerà entrambe.
2. Usa il tuo nome per esteso su più siti internet possibile. Dozzine di social network come LinkedIn, Facebook e Twitter offrono URL personalizzati, sfruttali per scriverci nome e cognome per esteso, in modo che nessuno possa spacciarsi per te.
3. Cerca spesso il tuo nome sul web. Googlarsi è utile, ma lo è anche controllare che cosa si dice di voi su Facebook e Twitter. Per chi possiede una piccola azienda, anche monitorare Yelp o Citysearch può rivelare gli umori degli utenti.
4. Resisti alla tentazione di litigare online. Far sentire la propria voce su un forum di discussione è una tentazione, specie se un anonimo ti ha appena criticato, ma i litigi rischiano di degenerare mettendo entrambi in cattiva luce. Meglio quindi ignorare le provocazioni.
5. Mantieni un sito aggiornato con la tua storia professionale e i link ai tuoi profili sui social network: ti servirà da biglietto da visita.
Corriamo ai ripari. Per "pilotare" le ricerche sul nostro conto su risultati che consideriamo "sicuri" si può ricorrere a servizi personalizzabili come quelli offerti da About.me o Profile Builder, che consentono di creare una pagina "porto" dove indirizzare chi cerca informazioni su di noi - un escamotage per dissuaderlo dall'approfondire le indagini.
Nella gestione dei social network invece, conviene seguire il modello dei giovanissimi: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le nuove generazioni sanno spesso amministrare con intelligenza le informazioni personali condivise: uno studio dell'Harvard University Berkman Center for Internet and Society ha dimostrato come gli studenti statunitensi sfruttino i loro status online per fare bella figura in previsione delle domande di ammissione all'università, sottolineando per esempio i propri successi sportivi o altre caratteristiche che i nuovi college potrebbero apprezzare. Mentre una ricerca del Pew Research Center's Internet & American Life Project ha evidenziato come gli utenti tra i 18 e i 29 anni siano molto più preoccupati di mantenere i propri profili puliti - rimuovendo post indesiderati o il loro nome dai tag delle foto - rispetto agli iscritti più vecchi.
Pulizie di primavera. Per chi volesse ripulire la propria pagina di Facebook da epiteti volgari, frasi equivoche e altri contenuti poco adatti per esempio, ad accettare l'amicizia del proprio capo, esistono software come Socioclean, che pesca da un database di 5mila parole in tema di droga, sesso e alcol per segnalare eventuali post da cancellare. Chi infine ha l'abitudine di spedire mail compromettenti durante la sbornia potrebbe trarre vantaggio da Mail Goggles, un servizio di Gmail che per verificare la presenza mentale degli utenti, obbliga a risolvere semplici problemi matematici prima di inviare un messaggio concepito sotto i fumi dell'alcol.
Se volete farvi un'idea della vostra reputazione digitale provate questo test!