Digital Life

Wearable, la tecnologia da indossare

L’Internet of Things non è solo attorno a noi, lo portiamo anche addosso. Ecco cosa possiamo fare con i dispositivi indossabili e come possono migliorare la nostra vita.

Smartwatch che controllano quanti passi facciamo durante la giornata, braccialetti che misurano qualità e quantità del sonno, magliette che tengono sotto controllo il battito cardiaco e ci dicono se siamo seduti correttamente: sono solo alcuni dei dispositivi indossabili e connessi alla rete che promettono di rivoluzionare ogni aspetto della nostra vita o quasi.

Negli ultimi anni la progressiva miniaturizzazione di tutti i componenti elettronici, il crollo dei costi di produzione e la duttilità dei materiali hanno permesso di integrare processori e sensori in quasi ogni oggetto di uso quotidiano: dagli indumenti alle scarpe, dai gioielli alle stoviglie, dai soprammobili ai giocattoli, tutto può essere reso intelligente e connesso al costo di pochi euro.

Che cosa sa fare per davvero tutta questa tecnologia,
quando è indossata e connessa?

Il nonno dei wearable. Il primo dispositivo elettronico indossabile (wearable) risale agli ‘60 del secolo scorso. Fu messo a punto da Claude Shannon e Edward Thorp: il primo, uno dei più grandi geni matematici di tutti i tempi, il secondo un professore di matematica del MIT affascinato dalla possibilità di poter sconfiggere il banco nei giochi d’azzardo, a patto di utilizzare gli opportuni algoritmi matematici.

I due, dopo aver studiato a lungo la fisica della roulette, la traiettoria della pallina, i punti di caduta, la velocità e il tempo di rotazione del piatto, misero a punto un complesso algoritmo effettivamente in grado di aumentare del 44% le probabilità di vincita al tavolo.

Confezionarono il tutto in un microcomputer grande come un pacchetto di sigarette, collegato con un sottilissimo filo a un apparecchio acustico. Nascosero il computerino in una scarpa e andarono a provarlo sul campo a Las Vegas. A ogni giro di ruota comandavano con l’alluce il computer in modo che memorizzasse i tempi del passaggio della pallina su alcuni punti di riferimento.

Con questi dati la macchina restituiva, sotto forma di nota musicale, il settore della ruota nel quale si sarebbe fermata la sfera. Funzionava così bene... che il Nevada lo mise fuori legge nel 1985.


La salute in Rete. Secondo le stime di Forbes quest’anno il mercato dei wearable varrà circa 12 miliardi di euro. A farla da padroni saranno smartwatch, fitness tracker, braccialetti e altri oggetti indossabili che controllano la nostra attività fisica, e altri dispositivi nell'ambito della salute e del benessere.

Le possibilità di monitoraggio a distanza offerte dai dispositivi connessi hanno infatti scatenato la fantasia di chi si occupa di salute a livello professionale, ospedali, centri di ricerca e compagnie di assicurazione in testa. Oggi per un team di medici è infatti possibile monitorare le condizioni di salute di un paziente da remoto, per esempio ricevendo in tempo reale i dati trasmessi da un pacemaker collegato al suo cellulare.

Questo permette al personale sanitario interventi tempestivi anche se il paziente è fuori casa, perché il sistema trasmette al centro medico anche le coordinate GPS di dove si trova l'assistito.

Prevenzione low cost. Grazie ai dispositivi indossabili anche la prevenzione diventa più facile: iRhythm ha recentemente presentato Zio XT, un cerotto dotato di sensori da posizionare in zona toracica per effettuare monitoraggi di lungo periodo sul cuore dei pazienti.
Resistente all’acqua e al sudore è collegato allo smartphone di chi lo indossa tramite un’apposita app e permette di registrare dati per due settimane in ogni condizione di utilizzo.

Sensoria è la calza intelligente che controlla gli appoggi del piede durante la corsa © Sensoria Fitness

A tutto sport. Ma oggi praticamente tutto è wearable, anche i calzini: all’ultima edizione del Consumer Electronic Show di Las Vegas è stata presentata Sensoria, la calza intelligente e connessa dedicata ai runner che analizza l’appoggio del piede al suolo, visualizza i relativi dati sullo smartphone dell’utente e fornisce utili consigli su come migliorare la corsa.

Funzionamento analogo quello della PoloTech di RalphLauren: le fibre d’argento annegate nel tessuto controllano i movimenti dell’atleta e permettono allo smartphone al quale è collegata via bluetooth di elaborare il programma di allenamento più opportuno. E una volta finito di sudare si può buttare tutto tranquillamente in lavatrice.

Per le signore è invece disponibile da qualche mese il reggiseno intelligente di OM signal, che attraverso sensori posti nella fascia inferiore registra battito cardiaco, respirazione e calorie bruciate.

A tavola, con giudizio. Tanto sport può far venire fame, e c’è un wearable che può tenerci sotto controllo anche mentre siamo a tavola. È la cintura intelligente di Samsung che è stata presentata all’ultima edizione del CES.

Dotata di sensori nella fibbia e lungo il girovita, percepisce gli aumenti di tensione causati da un’eccessiva abbuffata e ci avverte tramite una notifica sullo smartphone al quale è collegata.

Corrente continua. Il vero problema di tutti questi dispositivi indossabili è che, per funzionare, hanno bisogno di corrente. La questione è stata affrontata da un team di ricercatori della North Carolina State University che ha sviluppato un cerotto in grado di raccogliere il calore del corpo e trasformarlo in energia elettrica. Inserito nei tessuti o nella struttura degli oggetti indossabili potrebbe trasformarsi in una fonte di energia inesauribile.

Insomma, l’unico limite nel mondo dei wearable è la fantasia di chi li progetta, ed elencarli tutti sta diventando impossibile: ci sono braccialetti antipanico dedicati alle donne, che nella forma di un gioiello nascondono un pulsante per allertare le forze dell’ordine in caso di problemi, ma anche scarpe per bambini con il GPS integrato così da sapere sempre dove sono e collari per cani e gatti che avvisano il padrone quando gli animali si allontanano troppo da casa.

Chissà chi lo sa. Tutti questi device connessi alla Rete, direttamente o indirettamente tramite lo smartphone dell’utente, producono una mole impressionante di dati dai quali è possibile scoprire molti aspetti della vita delle persone. Anche quelli che si vorrebbe restassero privati.

Una compagnia assicurativa potrebbe per esempio decidere di acquistare l’azienda che produce il nostro bracciale per il fitness e utilizzare i dati registrati per desumere quanto moto facciamo, quanto siamo a rischio e calcolare di conseguenza il premio per la nostra polizza. E gli esempi potrebbero continuare. C’è da aver paura?

Ragionevolmente, no. Come per tutte le tecnologie occorre però farne un uso consapevole, in attesa di una normativa che regoli un settore che si evolve più rapidamente della Legge.

30 ottobre 2016 Rebecca Mantovani
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