Chi gioca abitualmente con i videogiochi migliora le sue capacità di attenzione, ma (forse) utilizza il suo cervello in un modo che lo renderebbe più suscettibile a sviluppare disturbi neurologici come il morbo di Alzheimer. È quanto emerge da uno studio pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B che ha confrontato un gruppo di giocatori abituali di videogames con un gruppo di non giocatori.
Preoccupazioni fondate? La ricerca, svolta da studiosi del Douglas Mental Health University Institute in Canada, è stata ampiamente riportato sui media, e ha suscitato molta eco proprio per il richiamo a un passatempo apparentemente innocuo in associazione a una malattia grave come l’Alzheimer. Cerchiamo di fare un po' di chirezza per evitare falsi allarmismi.
I fatti. In realtà, quello che i ricercatori canadesi hanno fatto nel loro studio è questo: hanno confrontato le strategie cognitive utilizzate da 59 persone (26 adulti che giocavano almeno sei ore a settimana con videogames d'azione, con una media di 18, e 33 che non li utilizzavano) nell’affrontare un compito di realtà virtuale che consisteva nell’orientarsi in un labirinto.
Oltre alle migliori capacità di attenzione degli appassionati di videogiochi, è emerso che la maggioranza di coloro che vi si dedicavano abitualmente utilizzava per orientarsi nel labirinto virtuale una strategia di apprendimento “automatica” e basata su una parte del cervello nota come “striato” mentre chi non giocava si affidava di più alla memoria spaziale, che fa riferimento soprattutto all’ippocampo.
Conclusioni premature. Gli studiosi hanno fatto notare che studi svolti in precedenza hanno più volte associato l’utilizzo prevalente dello striato a una minore quantità di materia grigia nell’ippocampo, che a sua volta è stata associata a un maggior rischio di disturbi neurologici e psichiatrici in età avanzata.
Potrebbe significare che i videogiochi comportano un utilizzo del cervello che aumenta il rischio di sviluppare da vecchi il morbo di Alzheimer?
Quale sia l’effetto dei videogiochi sul cervello è in realtà un argomento di studio “caldo”, considerato che un ragazzo può arrivare ai 21 anni avendo già passato 10mila ore di fronte agli schermi dei videogames. Come fanno notare alcuni, per esempio, questo articolo sul Guardian, il legame trovato finora è però davvero molto tenue.