Digital Life

Un futuro senza autisti? Ecco perché potrebbe non essere una buona idea

Le auto senza conducente sono davvero la risposta tecnologica all’ottimizzazione del traffico e alla sicurezza della circolazione? Secondo alcuni scettici no. Ecco le loro ragioni.

Auto che si guidano da sole, che controllano il traffico al posto nostro, evitano gli ostacoli e rispettano le precedenze senza farsi distrarre: un’ottima idea, destinata a rivoluzionare il mondo dei trasporti... O forse non è proprio così?

Un’attenta analisi dei dati risultanti dai primi test su strada delle vetture senza conducente, recentemente pubblicata su Phys.org, mette in discussione la presunta maggior sicurezza delle vetture robot.


Meno umani, meno incidenti? L’idea che la vettura senza conducente possa essere più sicura di quella tradizionale deriva da un dato oggettivo: il 75% degli incidenti automobilistici che si verificano ogni anno nel mondo è causata dagli esseri umani. Quindi eliminando la variabile umana dal sistema dovremmo poter ridurre di tre quarti il numero dei sinistri...

In effetti la correlazione tra sistemi di guida autonoma e sostanziale diminuzione degli incidenti sembra provata sulle strade dove si procede ad elevata velocità: in queste situazioni l’occhio del computer è più veloce di quello umano nel percepire potenziali pericoli e reagire di conseguenza, per esempio frenando o cambiando corsia. Ma che cosa succede nei centri abitati e dove si procede a bassa velocità?

Lo sguardo del pilota. Qui le interazioni tra conducenti e tra conducenti e pedoni sono numerose e continue: il cenno con la testa per invitare un pedone ad attraversare la strada, o lo spostamento di lato per permettere a un ciclista di superare la fila di veicoli fermi al semaforo sono comportamenti quotidiani difficili da far interpretare a un robot.

Riuscirà mai il computer di navigazione di una vettura autonoma a interpretare il comportamento di un pedone in prossimità del marciapiede? Vorrà attraversare la strada? O forse attende che arrivi il suo taxi? Oppure sta semplicemente chattando con lo smartphone?


Gesti&Gestacci. Tra l’altro il linguaggio del corpo non è uguale in tutto il mondo: alle Filippine, tra i Nativi americani e in molte culture latine, le labbra chiuse in un gesto simile al nostro bacio vengono utilizzate per indicare oggetti o persone. E il nostro “vieni qui” fatto con il dito indice che si piega in Australia è considerato un gestaccio. Google sta sperimentando diversi algortimi che permettano alle sue auto di interpretare il linguaggio non verbale degli umani ma la strada è ancora lunga.

O tutti o nessuno. Sembra insomma che le auto senza conducente possano funzionare piuttosto bene solo se non devono interagire con gli esseri umani. Ma la transizione verso un mondo dove tutti i veicoli saranno automatici è tutt’altro che dietro l’angolo. Anche perché implica un cambiamento radicale nell’approccio alla mobilità: tutti i veicoli, anche le moto, i taxi e i furgoni, dovrebbero essere "senza conducente" e le rotonde e gli incroci dovrebbero essere "resi intelligenti", per permettere ai veicoli di affrontarli in sicurezza.

Ma i pedoni? E i ciclisti? Che ruolo avrebbero in questo quadro?

Furbetti hi-tech. E poi c’è il mondo dei parcheggi: perché impazzire per trovare un posto in centro se posso farmi portare dall’auto sotto l’ufficio e poi rispedirla a casa? O perché non lasciare la macchina in circolazione attorno all’isolato mentre sono al bar a fare colazione?

Non solo: questo modello di trasporto del futuro mette in discussione il concetto stesso di proprietà dell’auto. In uno scenario del genere, in cui l’auto è un servizio, si affermerebbe una sorta di car sharing evoluto che permetterebbe anche ad anziani, disabili e persone senza patente di essere automunite e autonome.

Insomma, se dal punto di vista tecnologico il futuro dell’auto sembra tracciato e l’importanza del ruolo umano nella guida è destinato a ridursi sempre di più nei prossimi anni, sembra altrettanto chiaro che siamo ben lontani da un mondo senza volante.

16 ottobre 2016 Rebecca Mantovani
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