Digital Life

Stiamo vivendo in una realtà simulata?

Secondo il filosofo David Chalmers è impossibile sapere se stiamo vivendo in una realtà simulata oppure no, ma se anche fosse così le nostre vite non sarebbero meno reali. Digressioni su di un tema che riappare quando la vita si fa difficile.

Il vostro cane esiste davvero o è una simulazione creata da un computer? E voi, siete "persone fisiche" connesse a una macchina (in stile Matrix), siete biologicamente reali oppure siete avatar, personalità simulate? Ma (per non farci mancare nulla) una vita in una realtà simulata sarebbe meno reale di una vita biologica? Di queste e altre questioni ha parlato David Chalmers, filosofo australiano che si occupa in particolare di indagare i misteri della mente e della coscienza umana, in una conferenza online.

Viviamo in una simulazione? La domanda di base, che altri prima di lui si sono posti, è: viviamo nella finzione, in una realtà simulata? La risposta di Chalmers è quella classica: non possiamo saperlo, perché ogni prova del contrario potrebbe a sua volta essere simulata. «Se la simulazione nella quale stiamo vivendo è perfetta, non sapremo mai se ci siamo dentro», spiega il filosofo: «l'unica possibilità di scoprire se siamo degli avatar è che la simulazione sia imperfetta, o che i simulatori decidano di mostrarci il codice sorgente.»

Reality+ libro
Reality+: Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, il nuovo libro di David Chalmers che parla di universi simulati e realtà virtuali.

Simulazione e metaverso. Per mettere a fuoco la questione è importante distinguere tra universo simulato e metaverso. Nel primo caso si parla di ipotesi della simulazione, una teoria filosofica che ha origini antiche e secondo la quale la realtà in cui viviamo sarebbe una simulazione. Nel secondo caso si parla invece di realtà virtuale (in inglese VR, virtual reality), un mondo artificiale nel quale ci immergiamo consapevolmente per un tempo più o meno lungo.

Ipotesi della simulazione. L'ipotesi della simulazione, ovvero la teoria secondo la quale viviamo in una sorta di Matrix, ha origini antiche: il primo a interrogarsi sulla questione fu il filosofo cinese Zhuāngzǐ (369-286 a.C), fondatore del taoismo, che nel racconto Zhuāngzǐ sognò di essere una farfalla si domandò se lui stesso fosse una farfalla che sognava di essere un umano, o un umano che sognava di essere farfalla. Anche Cartesio, nel suo Meditazioni metafisiche, si domandava se stesse vivendo in una sorta di sogno, ipotizzando l'esistenza di un demonio ingannatore (che oggi chiameremmo simulatore) capace di creare da un mondo esterno le sensazioni del nostro mondo, come il calore di un fuoco o l'umidità della pioggia.

Pillola blu o rossa
Pillola blu o pillola rossa? Nel film di fantascienza Matrix, un classico esempio dell'ipotesi della simulazione, il protagonista Neo poteva scegliere se conoscere la verità (pillola rossa) o rimanere nell'ignoranza (pillola blu). Voi quale pillola scegliereste? © diy13 | Shutterstock

Facendo un salto temporale fino ai giorni nostri arriviamo alle teorie del filosofo Nick Bostrom, secondo il quale potrebbero esistere molti mondi simulati e molti avatar, e sarebbe perciò impossibile sapere se siamo pure simulazioni -che vivono in modo programmato e sono incapaci di libero arbitrio (un po' come i personaggi-non-giocanti del film del 2021 Free Guy) - oppure persone realmente esistenti le cui menti sono attaccate a una macchina.

Digitale ma reale. Secondo Chalmers, una realtà simulata è in ogni caso una realtà reale: «È reale ciò che fa la differenza, ovvero che ha un potere causativo, ciò che non vive solo nella nostra mente, e ciò che non è un'illusione», afferma: «tutti gli oggetti di una realtà simulata sono dunque reali, perché in una simulazione abbiamo un corpo, vediamo degli oggetti e delle persone e interagiamo con loro: è tutto reale, solo che è digitale.» Il fatto stesso che la nostra realtà potrebbe essere una simulazione e che non sia possibile dimostrare il contrario, sottolinea, è un'ulteriore prova che la realtà simulata è reale.

Metaverso. Il primo a coniare il termine metaverso fu Neal Stephenson nel suo romanzo Snow Crash, del 1992, nel quale si immaginava una realtà virtuale condivisa grazie a Internet, dove gli utenti si muovono e interagiscono in forma di avatar. Più di recente si è tornati a parlare di metaverso con Facebook, ma Zuckenberg e Stephenson hanno visioni diverse: secondo l'autore di Snow Crash il metaverso era un unico mondo virtuale, mentre per il papà di Facebook possono esistere diversi mondi virtuali.

Secondo Chalmers, anche gli oggetti del metaverso sono reali e nella VR è possibile vivere una vera vita: «Immagino che un giorno potremo scegliere se vivere in questo mondo o in quello virtuale, e in molti sceglieranno di vivere nella VR».

La vita nel metaverso è reale. La vita vera ha un senso perché è condita di esperienze, amicizie e obiettivi: tutte cose che esistono nella realtà virtuale, dove però non ci sono la fisicità, la morte, la nascita. In compenso la VR offre più esperienze rispetto alla vita reale, e permette di avere più di un corpo, spazio illimitato e oggetti in abbondanza. «Credo che il metaverso sarà come Internet è ora: avrà cose buone e meno buone, ma nel complesso sarà un'innovazione positiva», afferma Chalmers. Non ci resta che aspettare per vedere fino a che punto arriverà la tecnologia - sempre che i simulatori non decidano di disconnettere le nostre menti dalla macchina che ci tiene in vita.

5 marzo 2022 Chiara Guzzonato
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