Quante volte avete letto, mentre facevate una ricerca su Google o mentre navigavate su un semplice sito, delle pubblicità strettamente connesse ai vostri interessi? Le piattaforme di pubblicità, tra tutte AdSense, analizzano automaticamente i vostri comportamenti di navigazione e inviano pubblicità che ben si accorda ai vostri gusti. Tutto ciò, oggi, accade senza il vostro esplicito consenso. Ma Rick Boucher, membro del congresso degli Stati Uniti, da diversi mesi si batte per introdurre pesanti regolamentazioni.
Al momento, infatti, si usa una politica "opt-out": l'utente che non vuole che i suoi dati vengano analizzati può negare il suo consenso, che si considera altrimenti accordato a priori. Boucher preme invece per l'introduzione di una politica di tipo "opt-in": gli utenti devono dare esplicito consenso prima che sia fatto un qualsiasi uso dei loro dati.
Dove sta la differenza? Nel comportamento della maggior parte degli utenti, che è spesso prevedibile e in un certo senso persino un po' stupido: con la politica opt-out in pratica nessuno esercita il suo diritto alla privacy, forse perché non sa di poterlo fare, forse soltanto per pigrizia e superficialità. In maniera semplicistica si può dire che il consumatore sceglie tacitamente ciò che di norma è stato scelto per lui.
Se da un lato la proposta del senatore piacerà sicuramente a chi tiene alla propria privacy e a chi pensa che il web si stia sempre più trasformando in una sorta di Grande Fratello, dall'altro l'azienda di Mountain View non si limita a criticare tale iniziativa, ma afferma che potrebbe avere parecchie conseguenze negative e potrebbe persino essere controproducente per la privacy degli utenti. L'opt-in si tradurrebbe infatti in una richiesta molto più estensiva di informazioni sull'utente e renderebbe possibile la creazione di profili molto più precisi. Lo scenario peggiore che ipotizza Google è una ridotta mobilità sul web e il venirsi a creare di community chiuse omogenee (cioè di individui che la pensano allo stesso modo) poco collegate fra loro, fenomeni che provocherebbero addirittura un'estremizzazione delle opinioni piuttosto che una proficua dialettica costruttiva.
Anche se lo scenario prospettato dalla grande G sembra verosimile e merita delle riflessioni, riesce difficile credere ciecamente a persone da lei stipendiate. Sicuramente la mole di dati che viene dalle esperienze di navigazione di tutti noi rappresenta l'asset più importante per l'azienda, che ha dimostrato di possedere incredibili strumenti per analizzarli e usarli a proprio vantaggio. I singoli utenti non comprendono quanto preziose siano tali informazioni e le barattano in cambio di servizi soddisfacenti.
Per tutelare un corretto utilizzo sarà sufficiente un "Don't be evil"? Tu che ne dici?
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