Pubblicare un commento maldestro su un social network può causare molti guai. Ecco la top ten dei casi più divertenti, clamorosi e tragici.
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1. “Cinguettio” da 50mila dollari - È il risarcimento danni per diffamazione chiesto dal gruppo immobiliare Horizon Realty ad Amanda Bonnen, internauta di Chicago, che si è lamentata su Twitter per le condizioni dell’appartamento preso in affitto: “Chi dice che dormire in un appartamento pieno di muffa fa male? Per Horizon Realty Group è tutto OK!”. E la poverina aveva solo 20 “followers”, immaginate la cifra se ne avesse avuto qualcuno di più! Per fortuna il giudice ha fatto cadere le accuse nei suoi confronti.
02. La "keywork" è… Iran - Cosa non si fa per pubblicizzare e vendere un prodotto. Lo sa bene l’azienda Habitat, catena di negozi di arredamento inglese, che è inciampata in uno strafalcione “political scorretto” su Twitter. Per dare la massima visibilità ai cinguettii promozionali dell’azienda, il suo addetto alle parole chiave ha pensato bene di usare anche quelli relativi alle recenti elezioni politiche in Iran. Cattiva mossa.
03. Mancanza di tatto – Sfruttare al massimo le nuove tecnologie va bene, ma c’è un limite e Berny Morson, giornalista di un quotidiano locale del Colorado, l’ha decisamente superato. Sapete cos’ha fatto? La radiocronaca minuto per minuto del funerale di Marten Kudlis, un povero bambino di tre anni investito da un’auto mentre andava a comprare un gelato. È stato sommerso di insulti.
04. Beacon indigesto- "Chiedo scusa a tutti": così Mark Zuckerberg, papà di Facebook, manda prematuramente in pensione il sistema Beacon. Il diabolico marchingegno pubblicizzava a tutti gli amici l’acquisto, o anche solo l’interesse verso un prodotto delle aziende “partner”, all’insaputa dell’interessato. Alla faccia della privacy.
05. Oh, cielo, mio marito! – Ovvero il social network secondo Google: condividere aggiornamenti, foto, video e altre amenità direttamente da Gmail. Un sistema che a volte si prende un po’ troppe libertà tanto da mandare su tutte le furie la blogger Harriet Jacobs che si è ritrovata automaticamente “collegata” all’ex marito violento con conseguenze poco piacevoli.
06. Suicidio politico – Stuart MacLennan, 24enne candidato laburista in Scozia, era una delle stelle emergenti del partito inglese. Peccato che, durante un viaggio in treno, forse per la noia, abbia iniziato a delirare su Twitter prendendo in giro il commercio equo e solidale (“voglio frutta coltivata da schiavi”), inveendo contro il suo avversario (“è mio dovere tirare calci nelle palle a quel cretino di Cameron”), e definendo gli anziani “gente scampata alla bara”.
Molto simpatico, tanto che il partito l’ha immediatamente sospeso. Niente più elezioni per lui.
07. Che noia! – Allora sei licenziata! È successo a Kimberley Swann, un’impiegata sedicenne inglese, che ha perso il lavoro per aver pubblicato sul suo profilo di Facebook un commento in cui definiva “noiosa” sua giornata in ufficio. Era addetta alle fotocopie, come darle torto.
08. Ops, capo, non volevo – Parlare male del capo non è mai salutare per la carriera, ma quando lo definisci un “pervertito” su Facebook te le vai proprio a cercare, soprattutto quando fa parte della tua schiera di “amici”. La risposta del “pervertito” sul social è stata immediata: “Hai lavorato qui per cinque mesi e non ti sei accorta che sono gay? Ti ricordo che sei ancora in prova, quindi domani non venire.”. Bye, bye, Lindsay.
09. Malata, sì, ma di Facebook – Un’impiegata svizzera di 31 anni telefona in ufficio per avvertire che sarebbe stata a casa per una forte emicrania che, però, non le impedisce di darsi “socialmente” da fare . Quando rientra viene licenziata in tronco. Il motivo? Se poteva usare Facebook allora era anche in grado di andare regolarmente al lavoro. Gli svizzeri sono implacabili.
10. Sei fuori – Eppure ce l’aveva fatta. Connor Riley aveva mandato un CV a Cisco e aveva ottenuto un posto di lavoro. Non proprio quello che sperava, così esprime la sua insoddisfazione su Twitter. E Cisco la licenzia ancora prima di iniziare in solo 140 caratteri. La lettera di licenziamento più corta della storia.