Rispondete a queste domande: vi ricordate cosa avete postato su Facebook o Twitter quando eravate arrabbiati con la vostra fidanzata (o fidanzato)? O quella sera in cui eravate un po' brilli? O quando avevate giusto una manciata di follower? O dopo quella festa pazzerella di tre anni fa?
Se per un istante un brivido vi è corso lungo la schiena, le ipotesi sono due: o non riuscite a richiamare nulla alla memoria, ma sapete che in effetti potreste davvero aver combinato qualcosa, oppure vi siete improvvisamente ricordati di una foto o uno status che ancora vi causano imbarazzo.
In entrambi i casi, non sarebbe bello poter ripulire la fedina penale? Ed ecco appunto che entra in scena l'app Clear, uno strumento utile per preservare la propria reputazione digitale ed evitare brutte figure – se non problemi ben peggiori, come giocarsi un posto di lavoro.
Quando il passato si ripresenta. L'occasionale battutaccia, la foto di cattivo gusto, il commento buttato lì magari in un impeto di rabbia alla fine non spariscono nei meandri di Facebook e Twitter, non cadono nell'oblio. Quello che è stato scritto in un lontano passato può ripresentarsi e ritorcersi contro quando meno ce lo si aspetta. È quanto è accaduto al creatore dell'app, Ethan Czahor, che a inizio anno era stato assunto come CTO (chief technical officer) nello staff del politico Jeb Bush, fratello minore dell'ex presidente George W. Bush e probabile candidato repubblicano nelle elezioni presidenziali del 2016.
Quando sono sono stati resi noti alcuni tweet risalenti ad anni fa, ritenuti "inappropriati", Czahor è stato costretto a rassegnare le proprie dimissioni. I messaggi contenevano battute poco eleganti su donne e omosessuali; Czahor si è difeso sostenendo che si trattava solo di materiale comico legato agli studi di cabaret che stava sostenendo a Hollywood in quel periodo e che non rispecchiano un alcun modo la sua personalità e le sue posizioni. Troppo tardi, troppo poco: il danno ormai era fatto.
L'app che fa pulizia. Ritrovatosi senza lavoro per una leggerezza, ha quindi deciso di sviluppare una soluzione per evitare che altri incappino nella sua stessa sorte, senza che siano costretti a passare in rassegna manualmente tutti i loro profili andando indietro di mesi e anni. È nata così Clear: una volta installata e avviata, in pochi secondi l'app passa in disamina tutta la cronologia personale di post, foto e status sui tre principali social network (Facebook, Twitter e Instagram), alla ricerca di parole potenzialmente offensive e di riferimenti a gruppi etnici; dopo di che la sottopone al vaglio del supercomputer Watson di IBM, i cui algoritmi sono in gradi di rilevare il tono dei messaggi.
Alla fine del processo di controllo, Clear restituisce in un comodo elenco tutti i contenuti sensibili, offrendo quindi la possibilità di cancellarli direttamente o lasciarli come sono, nel caso si trattasse di un falso allarme. L'app fornisce anche un punteggio che valuta la "pulizia" dei profili social.
La prudenza non è mai abbastanza. Come mostra il caso esemplare di Czahor, la questione va oltre la semplice immagine pubblica fra amici e parenti, che pure ha il suo valore.
Spesso le aziende vanno a controllare le pagine Facebook e Twitter per farsi un'idea del comportamento e della vita del loro dipendente o di un candidato che stanno valutando per l'assunzione. Gli scheletri nell'armadio, per quanto uno possa considerarli innocue leggerezze del passato di cui magari nemmeno si ricorda, bastano per rovinare una carriera. Insomma: un po' di pulizia non guasta.