«La disinformazione, in epoca di coronavirus, può uccidere». Sono durissime le parole pronunciate da Josep Borrel, capo della politica estera dell'Unione Europea, all'indirizzo di Facebook, Google, Twitter e degli altri big della Rete.
In una conferenza stampa di qualche giorno fa il dirigente della UE, insieme alla collega Věra Jourová, vice presidente per i valori e la trasparenza, ha invitato le grandi aziende americane che governano le news su Internet a produrre una relazione mensile sul fenomeno delle fake news.
Dati concreti. Borrel e la Jourovà chiedono una documentazione periodica e puntuale che spieghi nei dettagli come i diversi servizi online stanno affrontando la lotta alla disinformazione, con quali tecnologie e quali risultati.
L'obiettivo è quello di mettere a fattor comune gli sforzi dei più importanti attori del mercato dell'informazione digitale ma anche rendere pubblica la vera entità del fenomeno.
Secondo i due rappresentanti dell'Unione Europea infatti la reportistica dovrebbe indicare con chiarezza la quantità e la provenienza delle fake news diffuse sui diversi servizi online, gli investimenti in pubblicità che sono stati fatti per diffonderle e che cosa è stato fatto per bloccarle.
L'idea insomma è quella di inchiodare i più grandi operatori di Internet, Google e Facebook in testa, alle proprie responsabilità, in quanto gestori delle piattaforme che contribuiscono alla diffusione di informazioni false o fuorvianti.
Pericolo salute. «La disinformazione può influire negativamente sull'economia e indebolire le azioni delle autorità pubbliche, per esempio su tutti i temi di salute e prevenzione», ha spiegato la Jourovà.
In realtà le più importanti piattaforme online, tra cui Google, Facebook, Twitter, Mozilla, Microsoft, TikTok e altre hanno già siglato tra il 2018 e il 2019 un codice di condotta che le impegna tra le varie cose a non monetizzare gli account che diffondono notizie false.