Mentre rispondiamo a un sms di Whatsapp o pubblichiamo una foto su Instagram, l'idea di avere tra le mani un potente strumento tecnologico, che può contribuire a salvare vite umane non ci sfiora neppure per un attimo. Quasi abbiamo rimosso che, sotto il vestito del nostro smartphone, si nasconde un concentrato di tecnologie sviluppate in ambito militare che vanno da internet al GPS, supportate da processori persino più potenti di quelli dei pc e da sensori fotografici sempre più raffinati. Il tutto racchiuso in un dispositivo tascabile.
È invece in questi termini che vedono gli smartphone gli sviluppatori delle app pensate per restituire un'identità ai bambini dispersi durante le guerre, o per lanciare tweet dalle zone calde o, ancora, per combattere la violenza sessuale sulle donne che attraversa il mondo, come un tragico filo rosso. App che possono fare di ogni cellulare di nuova generazione uno strumento in grado di fare la differenza. Eccone 5 da tenere d'occhio.
DANA
Sta per Defense Automated Neurocognitive Assessment ed è l'app che consente ai medici di rilevare il disturbo da stress post-traumatico o altri danni cerebrali nei militari al fronte. Si presenta come un videogioco che registra risposte, tempo di risposta, e anche i movimenti dell'utente tramite sensori del telefono. Sviluppata dalla AnthroTronix, funziona su Android e può aiutare a un medico a formulare una diagnosi in assenza di macchine per la scansione cerebrale.
RapidFTR
Che si tratti di disastri naturali o di conflitti, a impressionare di più è sempre il numero di bambini dispersi e per questo maggiormente vulnerabili alle violenze. Parte del problema sta nell'impossibilità degli operatori umanitari di riconoscere le piccole vittime, in mancanza di documenti di identità. RapidFTR è un'app, nata col sostegno dell'Unicef, che aiuta a raccogliere e condividere informazioni (e foto) sui bambini rimasti soli nelle situazioni di emergenza, in modo da pubblicarle in una database centrale dove potranno essere accessibili alle famiglie, anche a migliaia di chilometri di distanza.
I Am Alive
Chi la usa può pubblicare un tweet dove dice di essere vivo, con un solo clic sul telefonino. Idea tanto banale quanto efficace quella di Sandra Hassan, la giovane laureata che ha sviluppato l'app per Android: in caso di attentati o altre emergenze le persone infatti tentano disperatamente di telefonare e questo inevitabilmente manda in tilt reti e linee telefoniche. Col risultato che avvisare i propri cari dello scampato pericolo diventa impossibile. Con I Am Alive invece almeno le prime rassicurazioni arrivano subito.
MediCapt
In alcuni paesi in perenne stato di guerra, come la Repubblica Democratica del Congo, centinaia di donne vengono stuprate da soldati ogni anno, e poco o nulla si può fare per assicurare i colpevoli alla giustizia. In risposta, un team di Medici per i Diritti Umani (PHR), un'organizzazione no-profit con sede a New York, ha sviluppato MediCapt, un'app che consente ai medici sul posto di compilare un modulo medico in formato digitale, con foto, descrizione degli infortuni subiti dalle donne e note sugli aggressori, fondamentali per una indagine penale.
Nirbhaya
Dall'India, dove gli stupri di gruppo sono una vera e propria piaga sociale (solo nel 2012 a New Dehli ne sono stati denunciati oltre 660), arriva l'app che permette alle vittime di violenze di lanciare un SOS ai parenti con la propria posizione in caso di assalto, semplicemente toccando lo schermo del cellulare. Nirbhaya funziona anche al contrario e invia messaggi in automatico ai propri contatti quando si entra e si esce da un'area a rischio. Non è l'unica app del suo genere: sotto l'egida di Women Under Siege, l'associazione che denuncia le violenze sessuali nel mondo, nato da un'intuizione di Gloria Steinem, ne sono state sviluppate a decine, dalla Siria all'Egitto. L'idea di base è semplice: sfruttare l'onda lunga della diffusione degli smartphone nei paesi in via di sviluppo, per trasformarli nei migliori alleati delle donne.