Internet crea tanti problemi quanti ne risolve. Generalmente le persone che più vengono tormentate dal libero fluire dell’informazione sono i creativi, coloro che vivono attraverso il durissimo lavoro di dare una forma tangibile alla bellezza, all’arte, all’identità delle aziende.
Un esempio pratico di quanto i committenti si rifiutino di capire gli sforzi e la mole di lavoro necessaria a creare un logo è quello che è capitato con Gap, una multinazionale della moda statunitense. Il brand aveva tentato un restyling, ma il risultato è stato tanto brutto che anche chi non si è mai interessato di design ha commentato negativamente. Si trattava probabilmente di uno sforzo per tagliare sul prezzo, affidandosi ad un designer di un paese emergente, ma senza neppure fare una ricerca di mercato sulle sue abilità.
Per aggiungere l’insulto alla figuraccia, Gap si è reso ancora più inviso alla comunità dei designer cercando di risolvere il problema con un concorso mezzo abortito (il tema è scontato: “crea tu il nuovo logo di Gap”). Il fatto che si tratti di una grande azienda a ricorrere a questi mezzucci è un sintomo dei tempi. Al giorno d’oggi chiunque può installarsi Photoshop o un prodotto open source di tutto rispetto ed iniziare a creare. Purtroppo per i designer professionali, che hanno speso parte della loro vita in educazione e impegno professionale, questo tende a ridurre le distanze con i talentuosi autodidatti... A patto di trovarne uno! Ci sono certamente centinaia di bravissimi designer hobbyisti capaci di opere degne e certamente disposti a “svendersi”. Purtroppo, però, le aziende sono tradizionalmente inclini a confondere un pessimo lavoro amatoriale con la professionalità e a non ritenere degno di riconoscimento lo sforzo necessario a creare. Se per loro degli incompetenti con Photoshop sul PC ed un designer di successo sono indistinguibili, allora siamo diretti verso un’epoca buia dell’estetica commerciale.
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