Ha il touch screen, le app, permette di comunicare, ascoltare musica, condividere informazioni sui social e molto altro ancora. Ma non è uno smartphone. E’ la connected car, l’automobile connessa alla rete.
E’ l’autovettura di ultima generazione: dotata della potenza di calcolo di 20 computer, riesce a processare fino a 25 GB di dati l’ora, l’equivalente di 4 film in HD, ed è equipaggiata con oltre 100 milioni di righe di software.
Ma a che cosa serve tutta questa tecnologia su ruote? Come cambierà il nostro modo di vivere e utilizzare l’auto? E soprattutto… come inciderà sulle nostre tasche?
Google car a chi? Intanto una precisazione: la connected car non è l’auto senza pilota alla quale stanno lavorando Google, Apple e altri big della Silicon Valley e dell’industria automobilistica. L’auto connessa è una realtà disponibile sul mercato già da qualche anno e si distingue dalle vetture convenzionali per due caratteristiche.
Primo: è dotata di una fitta rete di sensori che controllano ogni aspetto funzionale del veicolo, la meccanica, l’elettronica, la dinamica, la sicurezza degli occupanti e della circolazione. E poi è in grado di comunicare all’esterno le informazioni raccolte da questi punti di ascolto utilizzando i protocolli e le infrastrutture della rete Internet.
Sicurezza a 360°. L’auto connessa è insomma dotata di tutta la tecnologia necessaria per ridurre al minimo le possibilità di incidente ma anche le scocciature meno gravi.
Per esempio i sensori di prossimità disposti sulla parte anteriore e posteriore della vettura possono accorgersi di un improvviso rallentamento del traffico molto prima di noi e iniziare a frenare prima che il nostro piede si sposti dall’acceleratore al freno. Si tratta solo di qualche frazione di secondo, ma potrebbe fare la differenza tra tamponare la vettura che ci precede o arrivare a casa in tutta tranquillità.
In modo analogo quest’auto intelligente è anche capace di leggere per noi i segnali stradali, per esempio i limiti di velocità, e farci notare che stiamo correndo un po’ troppo, oppure seguire in autonomia le corsie dell’autostrada e permetterci di godere il viaggio un po' più rilassati.
Si ripara quasi da sola. Ma la connected car non si preoccupa solo della salute e della sicurezza degli occupanti: è anche in grado di badare a se stessa. La rete di sensori con la quale è equipaggiata tiene infatti sotto controllo ogni aspetto funzionale del veicolo, segnala eventuali problemi al conducente ed è anche in grado di comunicarli al servizio assistenza del produttore.
Il vantaggio immediato per il proprietario è una drastica riduzione dei tempi di riparazione: quando l’auto arriverà in officina i meccanici sapranno già quasi tutto del guasto, eventuali pezzi di ricambio saranno già stati ordinati e saranno lì, in attesa di essere montati. Un bel risparmio, soprattutto per chi utilizza l’auto, il camion o il furgone come mezzo di lavoro.
Non solo: l’auto connessa può inviare la segnalazione relativa al pezzo difettoso o che si è rotto direttamente al produttore, che potrà così identificare l’impianto dove è stato prodotto, il lotto di produzione, lo stabilimento dove è stata assemblata l’auto. Ed eventualmente decidere che è il caso di sottoporre a un richiamo preventivo tutte le auto che montano lo stesso componente.
Hai aggiornato l’auto? E se il problema riguarda solo l’elettronica di bordo non è escluso che possa essere risolto da remoto da parte del centro assistenza, che si collegherà alla vettura via Internet e aggiornerà una o più specifiche porzioni del software.
Tesla per esempio è già in grado di rilasciare in modalità OTA (Over the Air, da remoto) alcune nuove funzionalità delle proprie vetture, per esempio l’autopilota che permette all’elettrica di Elon Musk di percorrere lunghi tratti stradali quasi senza bisogno dell’intervento umano.
La smart road. Ma l’auto connessa può anche dialogare in tempo reale sia con gli altri veicoli intelligenti che si muovono lungo la strada, sia con la strada stessa. Auto, mezzi pubblici, camion e furgoni che si muovono in una stessa zona o lungo una direttrice comune possono cioè comunicare costantemente tra loro e fornire, per esempio, ai conducenti percorsi alternativi che ottimizzino tempi di viaggio e consumi di carburante.
Il sistema potrebbe proporre itinerari diversi a chi deve andare da un capo all’altro della città a seconda del tipo di veicolo, facendo passare per le zone residenziali solo quelli meno inquinanti e confinando gli altri su percorsi più esterni.
Allo stesso modo l’infrastruttura stradale potrebbe comunicare alle vetture la velocità ottimale da tenere per trovare verdi tutti i semafori del percorso ed evitare così la formazione di ingorghi.
Una gestione del traffico di questo tipo richiede un’infrastruttura hardware e software decisamente robusta, in grado di calcolare e aggiornare in tempo reale i parametri di navigazione di milioni di veicoli contemporaneamente, di monitorare i flussi di traffico e di scegliere per ogni auto il percorso più opportuno.
Occorre insomma un sistema tecnologico evoluto e potente, capace di adattarsi ogni momento a situazioni nuove e non prevedibili. Strumenti di questo tipo esistono già e sono a disposizione degli sviluppatori. Ne è un esempio Watson IoT, il sistema di cognitive computing realizzato da IBM per l’Internet of Things che riesce a gestire fino a 13 milioni di messaggi al secondo.
I dati sull’utilizzo della vettura, km percorsi, velocità, zone attraversate, una volta raccolti dai big data delle compagnie assicurative potrebbero essere utilizzati per mettere a punto modelli di polizza molto più personalizzati e premianti di quelli attuali, riducendo così in maniera sostanziale i costi per gli automobilisti virtuosi e punendo quelli più spericolati.
Le smart car in Italia. Secondo il Politecnico di Milano alla fine del 2015 in Italia c’erano in circolazione 5,3 milioni di connected car, un settimo del parco circolante.
La quasi totalità di queste vetture, l’88% del totale, era connessa tramite “le scatole nere” utilizzate dalle compagnie assicurative per monitorare i comportamenti dei guidatori.
Le auto nativamente connesse, quelle cioè dotate di tutta la tecnologie smart che abbiamo visto, erano poco più di 63.000, ma con una crescita del 135% rispetto all’anno precedente.