Recentemente il ministro della cultura e il sottosegretario all’informazione del regno Saudita sono comparsi in un’intervista di Al-Arabiya per parlare della nuova normativa sulla censura che il governo del repressivo stato islamico ha deciso di istituire.
Questo paese, un regime teocratico ed assolutista, odia a morte i blogger e la cosa non dovrebbe stupire. Chiunque decida di parlare di politica tramite Internet lo fa perchè ha idee molto forti e la convinzione necessaria a dare loro sostanza - e generalmente non sono le stesse idee di chi detiene il potere. Il dissenso in Arabia Saudita è punito anche con la morte, ma la galera è il mezzo più comune di trattare coi ribelli. Lo sanno i blogger sciiti, gli imam con idee contrarie a quelle del regime, gli attivisti dei diritti umani, i secolaristi, i socialisti che osano mettere su schermo le proprie opinioni. E’ sufficiente l’accusa di “Disturbare i terzi” per passare mesi dietro le sbarre.
Con la nuova norma tutti i siti che trattano notizie o politica dovranno registrarsi presso lo stato, per essere messi sotto controllo. I semplici blogger, stando all’intervista, non dovrebbero avere questo obbligo, ma sarà “caldamente consigliato”. Qualsiasi post, tweet, aggiornamento o messaggio che riguardi politica può quindi essere considerato “notizia” e di conseguenza posto sotto osservazione dai censori. La faccenda ha fatto spaventare ed infuriare i blogger sauditi, come è normale, e la risposta del governo è stata fingere di ritrattare: “Non vogliamo porre sotto controllo [gli utenti dei social media], sono troppi per poterlo fare”. E’ facile intuire il vero tono del discorso: Non è che l’idea non ci stuzzichi, è solo troppo difficile da fare, ora come ora.
In definitiva, quello che il regno vuole è mettere nero su bianco quello che preme di più ai suoi gerarchi: avere carta bianca per incarcerare qualsiasi suddito si dimostri infedele al regime con una scusa qualsiasi. Se basta dare un’occhiata al suo account di Twitter, tanto meglio.
Foto CC di Retlaw Snellac