Il 9 gennaio 2007, davanti alla platea della MacWorld Conference a San Francisco, un concentratissimo Steve Jobs presentava il prototipo di un oggetto che avrebbe "reinventato il telefono".
In realtà la rivoluzione iPhone - che, oggi lo possiamo dire, avrebbe completamente trasformato il nostro modo di comunicare e interagire, con e senza cellulare - di anni ne ha qualcuno in più. Perché già da qualche tempo Tony Fadell, "papà" dell'iPod e tra i più stimati ingegneri di Apple fino al 2010, aveva iniziato a segretamente a lavorare con Steve Jobs a una piattaforma che potesse estendere le potenzialità del lettore di musica digitale.
Processo al contrario. Fu questa, come racconta un articolo pubblicato su Bbc News, la prima chiave del successo dell'iPhone. Mentre Microsoft lavorava per "far entrare" un computer in un cellulare, Apple tentava di trasformare un iPod in un prodotto ancora più sofisticato.
Siate folli. La storia dello smartphone più venduto al mondo si intreccia con alcuni tratti della personalità di Jobs, ed è in grado di affascinare anche gli "androidiani" più convinti. A partire dalla scelta del touchscreen. Fadell racconta che Jobs iniziò a pensare a quello dell'iPhone lavorando su un touchscreen di un computer Macintosh grande come un tavolo da ping pong.
Riuscire a trasformarlo in uno schermo a portata di tasca avrebbe richiesto migliaia di menti disposte a lavorare senza interruzione, un cospicuo investimento e molto coraggio, dato il successo della tastiera del Blackberry, il principale concorrente sul mercato.
Segreti a fin di bene. Jobs decise di optare, non senza dover sedare importanti divergenze tra i membri del suo team, per la scelta meno ovvia e più radicale: riuscire a togliere (quasi) tutti i tasti dall'Iphone e a farlo funzionare solo con le dita.
All'insaputa del "capo", Fadell decise comunque di lavorare affinché lo schermo fosse compatibile con lo stilo (il pennino per il touchscreen). Era una strategia piuttosto comune alla Apple: era accaduto anche con l'iPod.
Scampato pericolo. Fortunatamente, l'ostinazione per il touchscreem prese il sopravvento sull'idea iniziale di far funzionare l'iPhone con la ghiera cliccabile dell'iPod: «Troppo difficile da usare, lo stavamo trasformando in un telefono a rotella degli anni '60», racconta Fadell.
Riservato. Il tutto si svolse in un clima di estrema segretezza al limite della paranoia. I primi a lavorare al "Progetto Purple", questo il nome in codice del piano, si incontravano con Jobs un paio di volte al mese in una stanza senza finestre al secondo piano del quartier generale della Apple a Cupertino.
Ogni immagine digitale del prototipo era criptata, e le regole imponevano la massima cautela anche quando si lavorava da casa: in una stanza al riparo da sguardi indiscreti e da eventuali fughe di notizie.
Spie svedesi? Fadell racconta di un paio d'ore di panico quando perse il prototipo dell'iPhone fra i due sedili di un aereo, e già si preparava alla reazione di Jobs (fortunatamente lo ritrovò in tempo). E i sospetti di spionaggio industriale si concretizzarono durante una iniziale gita di un ristretto gruppo di ingegneri di Apple a Malmo, in Svezia, presso alcuni laboratori di ricerca sulla telefonia: mentre il team di Fadell era a cena, dalle auto sparirono appunti e valigie.
L'arte di vendere. Lo stesso clima di tensione caratterizzò la preparazione della presentazione di Jobs quel 9 gennaio. L'iPhone nelle mani di Jobs era ancora un prototipo imperfetto che, gestito da chiunque altro, si sarebbe bloccato o riavviato al momento meno opportuno. A nessuno, a parte Jobs, era permesso toccarlo, e i passi della presentazione erano stati accuratamente studiati secondo un percorso preciso, che avrebbe evitato figuracce.
Il software del Wi-Fi era così instabile che il display del prototipo era stato programmato per mostrare comunque il massimo delle tacche; per sicurezza, i fili dell'antenna erano stati collegati al retro del palco: l'iPhone si sarebbe comunque collegato via wireless, ma il segnale non avrebbe dovuto viaggiare troppo.
L'ora esatta. Il momento della presentazione era stato pianificato al minuto, precisamente alle 9:41. Diverse indiscrezioni avevano anticipato che nell'evento previsto quel giorno Apple avrebbe presentato, oltre a un certo numero di altre novità, anche il suo primo smartphone. Ma quando la presentazione sembrava volgere al termine senza che Jobs avesse fatto alcun cenno all'iPhone, ecco il colpo di scena: «Ah, c'è ancora un'ultima cosa...» e calò il suo asso.
Tutto era stato studiato a tavolino e, cronometro alla mano, era stato calcolato che quel momento sarebbe arrivato 40 minuti dopo il via della presentazione (che iniziava alle 9 del mattino). Si decise di preparare le foto dell'iPhone con l'orologio sulle 9:41 in modo che al momento dell'entrata in scena l'ora indicata coincidesse con quella reale. Da allora è rimasta questa abitudine. Se ci fate caso, in tutte le foto istituzionali Apple, sul sito ufficiale e nelle presentazioni, gli orologi sono sempre fermi alle 9:41.
Una vera rivoluzione. La maggior parte dei difetti fu sistemata in tempo per l'inizio delle vendite nel giugno di quell'anno, e la presentazione fu comunque un successo.
Dal 2007 a oggi, sono stati venduti circa due miliardi di iPhone: il prodotto che durante la presentazione aveva fatto ridere Steve Ballmer, all'epoca amministratore delegato della Microsoft, avrebbe reso la Apple l'azienda più ricca del mondo. Come Jobs amava ricordare, quando i rivali, o la stampa, ridono, è perché «si è andati a toccare un nervo scoperto».