Sapete dire, senza stare a pensarci troppo, quanti oggetti collegati a Internet avete utilizzato oggi? Probabilmente no, e non provate a contarli: siamo quasi certi che ve ne dimentichereste più di uno.
Avete timbrato il biglietto su un mezzo pubblico? In molte città, anche italiane, le obliteratrici sono connesse alla Rete per permettere alle aziende di trasporto di controllare in tempo reale l’afflusso dei passeggeri sulle diverse linee e programmare così l’impiego più efficiente di mezzi e personale.
E se avete bevuto il caffè al bar è possibile che anche la macchina utilizzata dal barista per farvi l’espresso fosse collegata ad Internet: in questo modo chi si occupa della manutenzione sa quando è il momento di intervenire senza attendere che si verifichi un guasto.
Le cose, in Rete. Secondo McKinsey nel 2015 gli oggetti connessi alla Rete erano più di 5 miliardi e saranno 28 entro il 2025. Per lo più telefoni cellulari, ma anche braccialetti per il monitoraggio del sonno e del fitness, elettrodomestici, automobili, apparecchiature industriali, dispositivi medici e molto altro ancora.
È l’Internet of Things, o Internet delle cose, l’insieme degli oggetti e dei sensori che utilizzano la Rete per comunicare qualcosa, cioè dei dati, a qualcos’altro: un database, un computer o un altro oggetto connesso.
Se pensate dunque che l’Internet Of Things sia qualcosa che riguarda solo le grandi aziende della Silicon Valley siete fuori strada: la rete degli oggetti connessi è qualcosa che impatta già oggi sulla vita di tutti noi, anche se spesso non ce ne rendiamo conto, e che nei prossimi anni è destinata a trasformare profondamente molti aspetti dell’economia e della nostra quotidianità.
Un po’ di storia. Il termine Internet of Things è entrato nell’uso comune da un paio d’anni, ma è comparso per la prima volta nel 1999 in una presentazione di Kevin Ashton, ricercatore del MIT, alla Procter & Gamble. Ashton stava lavorando con dei colleghi ai tag RFID, speciali etichette elettroniche che potevano essere applicate più o meno dappertutto e che potevano essere lette da remoto con speciali apparecchi radio.
Quasi 20 anni dopo quei tag si sono trasformati in sensori in grado di leggere dall’ambiente le informazioni più diverse, dalla temperatura al movimento, dalla posizione GPS al peso, dalla composizione chimica all’umidità del suolo, e di trasmetterle ovunque nel mondo utilizzando i protocolli e le infrastrutture della rete Internet.
Internet è ovunque. Gli ambiti di applicazione dell’Internet of Things sono potenzialmente infiniti: dalle smart home, le case intelligenti che regolano da sole temperatura e illuminazione in base alle condizioni esterne, alle auto che dialogano in tempo reale con la strada e le altre vetture per evitare incidenti e ottimizzare consumi e percorsi.
Dalla medicina, con pacemaker e altri dispositivi in grado di allertare direttamente i soccorsi se il portatore si sente male, all’agricoltura, con sensori immersi nel terreno che segnalano composizione e umidità del suolo al sistema che eroga acqua e fertilizzanti.
L’unico limite insomma sembra essere la fantasia: qualunque oggetto, a patto di essere collegato alla Rete e di comunicare qualcosa a qualcuno, può ricadere in questa definizione. Anche la ciotola del gatto, a patto che sia equipaggiata con un sensore che comunichi, per esempio, se il micio ha finito la sua razione di pappa.
In generale gli analisti di McKinsey identificano tre grandi ambiti di applicazione dell’Internet of Things.
Ottimizzazione dei processi. Molti operatori industriali hanno inserito centinaia o migliaia di sensori nelle proprie filiere produttive con l’obiettivo di scoprire che cosa succede nelle varie fasi di lavorazione. Queste sonde forniscono dati relativi a migliaia di parametri fisici, chimici e ambientali che permettono agli esperti di intervenire in tempo reale per modificare, per esempio, la composizione di una miscela o la temperatura di cottura di un alimento. Oppure possono inviare informazioni sulle misure di ogni pezzo prodotto così da eliminare quelli difettosi e avere una qualità che si avvicina al 100%.
Ottimizzazione delle risorse. I dati raccolti da queste reti di sensori possono servire anche per ottimizzare l’impiego di risorse scarse come l’acqua o l’energia. Perchè innaffiare un giardino o un campo se le previsioni del tempo dicono che oggi pioverà? Basta collegare l’elettrovalvola che apre e chiude l’acqua a un feed che riceve le previsioni del tempo per quella specifica zona e a una serie di sensori che misurano l’umidità del terreno.
Sistemi autonomi complessi. Le applicazioni più interessanti dell’IoT riguardano però i sistemi in grado di rispondere automaticamente e in tempo reale alla modifica di condizioni non prevedibili, per esempio il traffico dei veicoli in una città.
Questi sistemi imitano i processi decisionali umani, ma lo fanno molto più in fretta ed elaborando una mole di dati molto maggiore. Funzionano in questo modo i sistemi di guida automatica delle vetture che controllano intere flotte di veicoli senza conducente su lunghi tratti stradali comunicando costantemente tra loro per evitare incidenti o ingorghi.
Big, big, data. L’Internet of Things è insomma una rete formata da miliardi di sensori e misuratori che ascoltano costantemente ciò che succede nell’ambiente esterno: il nostro corpo, un impianto industriale, una lavatrice o un lampione stradale.
I dati raccolti vengono immagazzinati in grandi database e poi elaborati con l’aiuto dei big data, supercomputer in grado di analizzare in poco tempo enormi quantità di dati alla ricerca di schemi che si ripetono, anomalie, deviazioni dallo standard e altri aspetti statisticamente significativi.
A.I. - Artificial Intelligence. Secondo Harriet Green, Global Head di IBM Watson IoT, nei prossimi anni l'Internet of Things diventerà la principale fonte di dati sull’intero pianeta. Comprendere questi dati e trasformarli in informazioni utilizzabili sarà compito delle intelligenze artificiali e dei sistemi di cognitive computing come Watson, sviluppato dalla stessa IBM.
Watson utilizza l’apprendimento automatico e altre tecniche per contribuire ad automatizzare le attività, consentire ai produttori di realizzare prodotti migliori e introdurre nuovi servizi in particolare nell’ambiente domestico.
Le tecnologie cognitive permetteranno inoltre a Watson e agli altri cervelloni digitali di semplificare e migliorare le interazioni vocali con le cose che ci circondano. Un esempio è Echo, il microfono di Amazon che si collega alla Wi-Fi di casa e al quale è possibile ordinare semplicemente parlando tutti i prodotti presenti nel catalogo dell’azienda di e-commerce.
Il mercato. Nei prossimi anni l’Internet of Things è destinato a crescere anche in termini di valore economico. Secondo McKinsey (Mapping the value beyond the hype) nel 2015 il mercato dell’IoT valeva circa 655 miliardi di dollari, destinati a diventare 11.000 entro il 2025. Ciò significa che nel giro di 10 anni questo settore varrà circa l’11% dell’intera economia mondiale.
4.000 miliardi arriveranno dal mondo delle fabbriche, 1.700 dalle città che saranno più intelligenti ed ecologiche, altri 1600 dalle applicazioni per la salute e il fitness e 1.000 dall’automazione della vendita al dettaglio.
Altro aspetto interessante di quella che è definita come la quarta rivoluzione industriale è che il 90% del valore economico creato dall’IoT sarà catturato dagli utenti: il 60% sarà destinato ai paesi industrializzati, ma il restante 40% aiuterà le economie dei Paesi in via di Sviluppo.