Arriverà mai il giorno in cui il rapporto con i robot sostituirà le interazioni umane? Probabilmente no, anche se sono sempre di più gli androidi capaci di imitare in tutto e per tutto le espressioni umane, o di apprendere come bambini.
Fa però riflettere questa foto scattata in Giappone qualche mese fa che rimbalza in questi giorni su Twitter.
Riposino in pace. Lo scatto immortala il rito funebre di 19 esemplari di Aibo, i cani robot della Sony capaci di riconoscere i comandi vocali dei loro "padroni" e muoversi alla stregua del migliore amico dell'uomo. Gli androidi giacciono spenti e "senza vita" su un altare del tempio di Kofuku-ji, a Isumi, nella prefettura di Chiba, davanti a targhette che riportano i loro nomi e quelli del proprietario.
Amicizia di vecchia data. L'immagine - reale - rispecchia un curioso fenomeno sociale che ha investito il paese asiatico, dove i robot occupano una parte importante della cultura. Nel 1999 la Sony mise in commercio Aibo in USA e Giappone. Nonostante i prezzi non proprio abbordabili - fino a 1700 euro per un "cucciolo" - il robot cane divenne in breve tempo un compagno di giochi per migliaia di giapponesi.
lasciati a piedi. Con buona pace dei fedeli acquirenti nipponici, la produzione è terminata nel 2006, complici le scarse vendite. Per anni dopo l'annuncio, la Sony ha continuato ad offrire assistenza nelle riparazioni dei robot, fino all'estate 2014.
Da quel momento in Giappone è stato tutto un fiorire di cliniche veterinarie "bioniche" per gli esemplari con problemi tecnici, e gruppi di supporto per i padroni rimasti senza pezzi di ricambio, privati della compagnia del fedele quadrupede.
Cuori spezzati. Ma a un certo punto i pezzi di ricambio più rari finiscono, e per alcuni esemplari non c'è proprio più nulla da fare: da qui i funerali. Esagerati? Forse. Ma per i cyberpsicologi (un'altra figura di cui dovremo abituarci sentire parlare), quando si sperimenta un'interazione con un robot che somiglia a un essere vivente, si instaura un legame più profondo. E a fine rapporto, il senso di perdita è più forte.
h/t: Newsweek