I computer sono davvero più intelligenti degli esseri umani? Dipende da cosa si intende per “intelligenza”. Quel che è certo è che sono più bravi e veloci di noi in una lunga serie di giochi di strategia e abilità. L’ultimo della lista è Go, un gioco cinese di origini antichissime considerato uno dei giochi di strategia più complessi e impegnativi.
La scorsa settimana AlphaGo, un software sviluppato da Google attraverso la sua società DeepMind, ha battuto Lee Sedol, giocatore professionista tra i più forti al mondo.
Data la complessità del gioco, il numero di mosse possibili e gli scenari che lo spostamento di ogni pezzo può generare, Go è considerato una delle sfide più interessanti per chi si occupa di intelligenza artificiale.
Genietto virtuale. Punto di forza dell’algoritmo sviluppato da DeepMind è infatti la sua capacità di apprendere partita dopo partita le risposte dell’avversario ad ogni specifica mossa: questo approccio può essere esteso ad ambiti molto diversi dal gioco come l’analisi di schemi ricorsivi e la pianificazione. AlphaGo potrebbe insomma lavorare nel mondo della finanza, in un laboratorio di ricerca o in ogni altro ambiente a elevato grado di complessità.
L’architettura dell’algoritmo si ispira a quella del cervello umano e utilizza strutture note come reti neurali, connessioni tra diversi livelli di neuroni virtuali che servono per rafforzare ed elaborare ciò che il sistema impara con l’esperienza.
La scuola di AlphaGo. I genitori di AlphaGo gli hanno fatto studiare oltre 30 milioni di mosse prese da partite giocate da umani e poi hanno lasciato che il software “giocasse da solo” così da studiare varianti e nuove strategie in un processo noto come rinforzo cognitivo.
E’ stato poi insegnato all’agoritmo come riconoscere le disposizioni dei pezzi più vantaggiose: in questo modo AlphaGo è in grado di capire come potrebbe evolvere il gioco in seguito ad ogni sua specifica mossa.
AlphaGo insomma è fortissimo a Go e in tutte le sfide dove i giocatori hanno accesso alle stesse informazioni, per esempio gli scacchi o altri giochi simili. Ben diverso è il caso del poker, dove ogni giocatore conosce in via esclusiva le proprie carte.
Che cosa farà da grande? Ma DeepMind vuole spingersi oltre e sta mettendo a punto una versione di AlphaGo in cui l’algoritmo, una volta istruito con le regole del gioco, impari a giocare senza studiare le partite degli umani. Secondo Demis Hassabis, CEO dell’azienda, il software impiegherebbe sicuramente più tempo, imparerebbe meno e probabilmente non riuscirebbe a battere il migliore tra gli esseri umani.
Obiettivo di DeepMind è comunque quello di trovare ad AlphaGo un lavoro vero, fuori dal mondo dei giochi: l’azienda ha recentemente stretto una partnership con il Servizio Sanitario britannico per impiegare il software nello studio di dati clinici così da rendere più facili le diagnosi e più efficaci le cure.
Altre applicazioni possibili per AlphaGo sono quelle legate al mondo degli assistenti virtuali, app e programmi capaci di intuire che cosa chiederà loro l’utente in ogni momento e provvedere di conseguenza. Ne è un esempio Google Now, che a partire dal contesto in cui viene utilizzato lo smartphone riesce a fornire informazioni rilevanti.
Meglio l'uomo. AlphaGo, almeno per ora, non sarà comunque paragonabile al cervello umano: non avrà cioè un tipo di intelligenza a tutto tondo capace di eccellere in diversi campi.
Per esempio non sarà mai come un bambino, capace di imparare a riconoscere uno schema a partire da pochi esempi pratici. «Gli uomini imparano molto più velocemente dei computer» spiega Hassabis.