di Peppe Croce
Da oggi è online la versione italiana dell'Huffington Post, diretta dalla giornalista Rai Lucia Annunziata. Che ha già fatto arrabbiare molti blogger italiani.
"I blogger esprimono opinioni e commenti e per questo non vanno pagati"
Debutto di fuoco -
versione italica dell'Huffington Post
Il solito teatrino - Certo, è difficile giudicare un giornale online dal suo primo e ancora unico numero. Forse non è neanche corretto, ma lo hanno fatto in molti. Tra le critiche più feroci c'è quella di Gennaro Carotenuto, professore e ricercatore di Storia del Giornalismo e Storia Contemporanea e blogger dal nutrito seguito. Secondo Carotenuto non c'è nulla di buono nell'Huffington Post dell'Annunziata: dalla grafica ai titoli, alla scelta delle notizie, va tutto male. Certo, a pensarci bene, una apertura mattutina con l'intervista a Berlusconi - tra l'altro molto morbida - ed una pomeridiana sull'ora di religione nelle scuole fanno molto "giornalismo old style".
Di blog non si campa - C'è poi una infinita schiera di blogger italiani che criticano l'Annunziata perché, in occasione del lancio del nuovo giornale, ha affermato candidamente che non pagherà i blogger che collaborano all'Huffington Post: "I blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati". Apriti cielo: i blogger sono sfruttati. A dirla tutta, però, i blogger non vengono pagati neanche nella versione americana del giornale: scrivono gratis per guadagnarci in visibilità. Non è una questione di lavoro o meno: è lo specchio di un'altra società e di un'altra economia, dove se riesci a farti notare prima o poi qualcuno inizia a pagarti molto bene per scrivere da un'altra parte.
La situazione italiana - Il problema vero è che in Italia, mediamente, i blogger sono morti di fame e morti restano anche quando si fanno notare. Forse da qui proviene l'astio nei confronti dell'Huffington all'italiana: è la speranza tradita di molti bravi blogger di poter essere pagati decentemente per il grande lavoro che fanno. Anche perché il web italiano si sta riempiendo di siti e siterelli che pagano 50 centesimi a post, al massimo 1,5 euro. Ce ne sono molti che non offrono neanche quello e promettono al massimo il "revenue sharing", cioè una fetta - di solito tra il 50% e l'80% - dei ricavati AdSense di un banner inserito nel pezzo.
Io credo in Google - Da questo punto di vista, molto probabilmente, i blogger italiani non dovrebbero sperare in Lucia Annunziata o in Arianna Huffington ma in Google.
Che con i suoi recenti algoritmi "Panda" e "Penguin" ha tolto di mezzo molti di questi siti improvvisati e che con il suo programma di authorship - che permette di far vedere la faccina sorridente dell'autore del pezzo tra i risultati di ricerca - permette a giornalisti e blogger di farsi conoscere e riconoscere. Se la strategia Google arriverà fino in fondo è molto probabile che i siti migliori saranno costretti a ingaggiare - e, finalmente, pagare - gli autori migliori. Si chiama qualità, può essere mai che dobbiamo sperare in un algoritmo per ottenerla?